Ciò nonostante che molte volte la giurisprudenza abbia ammesso che il fisco non può contestare le prestazioni rese a titolo gratuito a favore di amici, parenti o altro.
Cronaca/ di Stefania Isola, avvocato.
Secondo il fisco, un professionista, commercialista, avvocato o altro, non può fornire servizi gratuiti pena l’accertamento per l’invio non fatturato. Questi accertamenti vengono avviati incrociando i dati ricevuti dagli intermediari abilitati (cui viene richiesta l’esibizione delle fatture emesse in uno specifico anno di imposta) e quelli presenti nell’anagrafe tributaria; ciò che viene preso in considerazione dal fisco è, infatti, lo scostamento tra le dichiarazioni inviate in un determinato anno di imposta e le fatture emesse, con la conseguente contestazione per le prestazioni che non risultano remunerate.
L’accertamento è possibile sia quando vi è una differenza tra i clienti indicati nelle fatture emesse e i dati trasmessi nelle dichiarazioni, sia quando, pur essendo regolare la contabilità, i dati risultino in linea con quelli stimabili in base allo studio di settore applicabile.
Nel primo caso l’ufficio competente dichiarerà di aver proceduto alla rettifica presuntiva del reddito (“accertamento analitico induttivo”), in base all’inesattezza e incompletezza di quanto indicato nella dichiarazione; nel secondo la motivazione risulterebbe in virtù del fatto che l’omessa fatturazione di servizi prestati rappresenta una condotta antieconomica, giacché la gratuità delle prestazioni non è considerata verosimile se riguarda soggetti diversi dai familiari del professionista, per cui la prestazione si presume a carattere oneroso.
Per difendersi il professionista può, oltre a tentare l’accertamento con adesione, rifarsi all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, molte volte, ha ammesso che il fisco non può contestare le prestazioni rese a titolo gratuito a favore di amici, parenti o altro e che in ogni caso l’onerosità della prestazione professionale non è essenziale, essendo plausibile e ragionevole che il professionista possa decidere di lavorare gratuitamente in considerazione dei rapporti che lo legano a determinati clienti.
Al fine di tutelarsi preventivamente, sarebbe un’idea migliore evitare la fatturazione di compensi di modesta entità. Se fosse possibile provare già prima di rendere un servizio nei confronti di soggetti non legati da rapporti di parentela la gratuità delle prestazioni, predisponendo delle lettere formali di incarico (da trasmettere via posta certificata), dalle quali si evincano le motivazioni per cui non verrà richiesto alcun corrispettivo.