Un corto circuito provocò la tragedia, 270 morti la maggior parte italiani.
8 AGOSTO 1956, un boato, di prima mattina, ruppe una giornata che poteva essere come molte altre. Ma, purtroppo non lo era. Un fumo denso salì sul limpido cielo di Marcinelle, a pochi chilometri da Charleroi, nel Belgio meridionale. In un battibaleno la notizia della tragedia fu battuta dalle agenzie.
Il pozzo Bois du-Cazier della miniera di carbone bruciava con 270 minatori imprigionati di cui 138 erano italiani, soprattutto salentini. Cosa era successo ? “un vagoncino era stato imbiettato al 975° piano tra l’entrata del vano e la parete del pozzo. Aveva spezzato un cavo elettrico, provocato un corto circuito il quale a sua volta aveva provocato l’incendio”.
Le personalità politiche giunsero da tutta la regione, dietro i cancelli donne e bambini attendevano trepidanti. Camion, ambulanze e pompieri stazionavano nell’attesa. Molti i giornalisti in attesa di notizie. Si sperava.
Nessuno voleva credere che tutti gli sforzi fossero inutili. Nell’aria il sentore del dramma. I soccorritori scesero nel pozzo per cercare di salvare quegli uomini, ma riportavano in superficie solo cadaveri. Quando alle 18.45 il ministro Rey varcò i cancelli, la catastrofe era ufficiale. Anche il Re davanti al pozzo, in silenzio. Il silenzio del dolore, del lutto. Fuoco, fuliggine, donne in lacrime, sedute per terra attendevano il marito, il figlio, il padre, il parente, nella rassegnazione che non si ancora trasformata in disperazione.
Purtroppo era una giornata di lutto. 14 morti erano in una galleria dell’agganciamento 835. Anche il ministro del lavoro Vigorelli sul luogo della tragedia. Dopo quattro giorni il fuoco era sempre più violento. “E’ l’agonia per tutto il paese” disse un minatore che ritornava dal fondo. Si contavano ottanta corpi tra i piani 835 e 907.
Furono riportati in superficie il 14 di agosto, si lavorò ininterrottamente per cercare di salvare quegli sfortunati. Ormai la verità si faceva strada, il 22 agosto verso le 16, un ingegnere, un medico e due soccorritori scesero al piano 1035. Dopo otto chilometri di ricerche risalirono con la triste realtà. “Tutti morti”. Un sopravvissuto, per puro miracolo, un nostro concittadino, Pietro Mengoli, Egli ricorda così quel mercoledì 8 agosto 1956: “ Ero al mio posto di lavoro con il turno delle sette. Ero sceso a 1200 metri quando ho avvertito un malore. Sono risalito subito ed ho avvisato l’ingegnere il quale mi autorizzò a rientrare a casa. Poco dopo essere arrivato a Jumet, dove abitavo, ho udito un violento boato, ho pensato subito che qualcosa di grave era successo alla miniera. Mi sono precipitato fuori e nonostante il mio malessere sono tornato a Marcinelle. Un fumo nero, denso saliva in cielo. Nella zona attorno la miniera vi era la gendarmeria che impediva alla gente di avvicinarsi. Ero lì, impotente, non potevo far nulla per aiutare i miei compagni. Ho atteso tutto il giorno dietro i cancelli, con i parenti dei miei amici, ma più passava il tempo più mi convincevo che non li avrei più rivisti. Dopo questa immane tragedia ho dato le dimissioni e sono andato a lavorare altrove”.