Rubriche/ PensieriParole/ di Piero D’Errico
Ci sono cose nella vita che vivi in maniera esagerata.
All’inizio ti butti con tutta l’anima poi “la cosa” finisce nella sua normalità, perde il superfluo, perde il di più, tutta quella montatura che è la bellezza di quel momento, di quella storia.
Quella volta andò proprio così.
Arrivavo sempre in anticipo, mi piaceva aspettare, aspettare il momento, aspettare l’istante, aspettare l’attimo.
Mai una parola di troppo, mai una parola che potesse lasciar intendere un significato diverso da quello che io, volevo dare.
Insomma avevo mille e più attenzioni, tante frasi, tante rose.
Una festa, una ricorrenza, un giorno importante, mai dimenticato, anche con piccole cose, quelle piccole cose che hanno un forte significato, sono un pensiero, fanno un ricordo.
E quanto avrei voluto convincere il tempo a fermarsi in quei momenti, lasciarmi a lungo quei bellissimi momenti.
Era tutto “perfetto” era tutto una favola.
Ma proprio sul più bello, proprio quando meno me l’aspettavo:
“Vorrei che tu ora fossi uguale a come potrai essere domani.
Non vorrei che la mancanza di tante accortezze, un giorno mi facesse star male. Vorrei lo stesso che sarai tra qualche tempo, tra qualche giorno, tra un po’ di giorni, quella che sarai per sempre.
Dico questo perché il tempo cambia le cose, le sciupa, a volte le fa finire.”
Feci fatica a capire in quel momento, lei un anno meno di me e già lo aveva capito.
Non si sbagliava, a mano a mano che il tempo passava, diventavo sempre più distratto ma mai disinteressato.
Cominciai a dimenticare appuntamenti e ricorrenze.
Ero cambiato senza volerlo nei comportamenti, ero rimasto uguale nei sentimenti.
Qualche premura in meno, qualche telefonata in meno, ma la parte importante di me non era cambiata.
Era successo quello che era nelle cose, quello che era normale succedesse, la storia era rientrata nella sua autentica naturalezza, nella sua leggerezza, nella normalità.
Feci un po’ di fatica a spiegare e lei un po’ di fatica a capire che la “normalità” aveva preso il sopravvento e che la storia continuava nella sua quotidianità.
Era la prima parte che faceva più bella la seconda ed era una cosa inevitabile, era già scritta, sarebbe arrivata prima o poi. Bisognava solo aspettare.
E lei aveva ragione, sapeva che quelle attenzioni sarebbero diminuite e temeva di soffrire, di restare male, come quando ti manca qualcosa a cui sei perdutamente abituata.
La naturalezza prese il sopravvento, la quotidianità ci travolse, ma quel “passaggio”, quel “percorso” si trasferì su altre situazioni, che vivemmo con gioia.
Non era più tutto perfetto, ma era bello uguale, era bello uguale dimenticare, dimenticare l’ora, un anniversario, un giorno straordinario.
Svegliarsi un giorno e non aver mille e più accortezze, non aver più mille carezze, non aver più mille certezze.
Resti male, poi capisci che è normale. Resti un attimo a pensare a convincerti che in fondo è naturale.
Accompagni il figlio alla stazione, al solito binario, sempre allo stesso orario.
Il treno parte e già vuole sparire, ma tu sei ancora lì a salutare.
Poi ti prende quella strana sensazione di non aver messo tutto nel borsone.
Son per altri le mille e più accortezze, sono per altri le mille e più carezze.