Cronaca/di Emilia Frassanito

Incontro per caso Agnese Moro una mattina di inizio marzo in città, è appena giunta da Roma ed alcuni amici la accompagnano a visitare la Basilica di Santa Caterina.

La invito a ritornare a Galatina, ma questa volta in veste di ospite, mi da appuntamento nel pomeriggio a Maglie dove invitata dall’Azione Cattolica dell‘ Archidiocesi di Otranto, ricorderà il padre lo statista Aldo Moro  a quarantuno anni dalla sua scomparsa, in un pubblico incontro dal titolo “ Aldo Moro, padre, politico, credente”. La prima parte dell’incontro del pomeriggio prosegue lenta e secondo linee ben definite, Il Moro padre, il Moro Politico: bellissimo il ricordo della sua felicità alle crisi di governo perchè quello voleva dire vederlo di più in casa e il Moro credente, lei risponde calma, paziente e capirò poi, pacificata con se stessa.

Alla lettura dell’ ultima lettera che Aldo Moro indirizza alla moglie Noretta, sentivo di stare fuori posto ad ascoltare quelle ultime, accorate ed intime frasi inviate alla moglie. Eppure Agnese stava li, imperturbabile. Ancora una volta assisteva alla narrazione della sua tragedia familiare con le parole ed i toni di sempre.

Quasi ormai a fine incontro le viene chiesto come sia stato possibile incontrare gli assassini di suo padre . Il ritmo diventa altro, Agnese Moro risponde con lo stesso tono pacato, ma le parole sono affilate come lame, racconta che tutto è stato fatto a piccoli passi ed è durato anni. Il gesuita padre Guido Bertagna la va a trovare e le parla del cammino di riconciliazione avviato già da qualche anno, cui partecipano  ex terroristi e parenti delle vittime a sua guida insieme a quella del criminologo Adolfo Ceretti e della giurista Claudia Mazzuccato per cercare di ricomporre una  frattura che ha spaccato il paese e giungere ad una memoria condivisa.

È il progetto della giustizia ripartiva.  Agnese Moro dapprima dice un no convinto ed irremovibile, tutto le sembra assurdo ed impossibile, anche per non ferire i familiari e le persone che da sempre erano state loro vicine. Poi sente parlare dall’altra parte di dolore, di dolore per l’uccisione di suo padre e rimane sbigottita, si domanda cosa c’entrano “loro” con il suo di dolore, come possono i carnefici provare lo stesso dolore delle vittime.

E questo dolore dapprima la sconvolge e poi scioglie i no. Chi ha intrapreso questo difficile cammino dell’ “incontro”,  lo ha fatto perché convinto che fare giustizia non può e debba significare solo l’espiazione della pena. Perché non c’era durezza di condanna a lenire il dolore e sanare le ferite, né tantomeno i processi e i dibattiti mediatici con relativa spettacolarizzazione del conflitto. Era necessario trovare un’altra via. La pena è un riconoscimento per cosi dire verso il “Fatto”, ma era doveroso anche il riconoscimento verso “Qualcuno” attraverso un gesto sofferto e significativo di riparazione. 

Agnese Moro confida ai presenti che la prima cosa che ha rimproverato  ad * Adriana Faranda è quella di non aver recapitato le lettere che il padre aveva scritto durante la prigionia ai familiari e che solo per un caso fortuito dopo decenni sono state ritrovate. Quel rimprovero è diventato un riconoscimento di umanità ed il muro di odio è crollato. L’odio, il rancore non le permettevano più di vivere, era rimasta ferma a quel limbo di vita racchiuso tra il 16 marzo ed il 9 maggio 1978, ma la cosa che più la angosciava era che tutto quel dolore anche se non espresso rischiava di lasciarlo in eredità ai figli, era  giunto il tempo di spezzare la “ catena del male”, la “dittatura del passato “.

In sala c’è un silenzio surreale. Che cos’è per lei la giustizia?, le viene chiesto, risposta: non lasciare che il male abbia l’ultima parola. Ma per far questo bisogna spogliarsi dei propri pregiudizi e  smettere di vedere il  nemico, il mostro e riconsiderare l’ uomo, che ha sbagliato, ma l’ uomo con un volto ed una sua storia. È questa la testimonianza del Moro credente, l’eredità lasciata ad Agnese e che dopo anni durissimi a fare i conti con il proprio dolore, le ha permesso di giungere a tutto questo.

Nel salutarla, le chiedo un ricordo sulla prima edizione del suo libro  “ Un uomo così” mi sorride , forse tra qualche tempo ci rivedremo.    

*  Adriana Faranda, ex Brigatista rossa, componente del gruppo armato che pianificò il sequestro di Aldo Moro, Presidente della DC, il 16 marzo 1978, in quel giorno furono uccisi i cinque uomini della scorta. Il 9 maggio del 1978 dopo cinquantacinque giorni di prigionia, anche l’onorevole Moro fu ucciso.