Rubriche/Pensieri/Parole/di Piero D’Errico
Trovai per caso quella foto, tra mille e più altre cose, in una scatola di scarpe nascosta in un angolo di uno sgabuzzino dove non c’era posto neanche per passare.
Era in mezzo a bottiglie piene di salsa, a bottiglie vuote e a un’infinità di cose inutili che ricordavano la mia infanzia.
Un po’ sbiadito dall’umidità, ma ero proprio io.
Undici/dodici anni, sorriso accennato, capelli lunghi non più di qualche millimetro.
Ero al mare, slip da bagno nero con elastico bianco, cucito da mia madre con la sua macchina da cucire a pedale che più tardi sostituì con una SINGER più moderna.
Maglietta con il collo a barca, a righe larghe blu e rosse.
Quell’anno avevamo preso casa al mare dal primo al quindici settembre e tra le mille cose che avevo portato con me, mai avrei potuto dimenticare i miei libri preferiti di avventura: 20.000 leghe sotto i mari e Robinson Crusoe e poi, solo per contorno, qualche libro di scuola.
Non lessi neanche una pagina, avevo tante cose da fare, mia madre mi mandava al negozio di ALIMENTARI vicino per la spesa, mio padre a comprare le sue immancabili NAZIONALI senza filtro.
Quella domenica successe quella che si può definire una “combinazione”.
Arrivarono zii e zie materne quasi contemporaneamente.
Eravamo una ventina e c’erano tutti i miei cugini e cugine, tutti della mia stessa età, più o meno.
Non vi racconto la gioia di mia madre, non vi sto neanche a descrivere la tristezza di mio padre, fatto sta che tornati dal mare, quando si cominciava ad apparecchiare, non so chi, si accorse che mancava qualcosa di importante, di quasi essenziale considerato il clima di festa che era piombato e in cui anche mio padre alla fine si era tuffato.
Toccava a me come al solito andare a prendere il VINO.
Presi la damigianetta di vetro vuota e accompagnato da tutti i miei cugini/e che avevo pregato venissero con me, prendemmo la via per il solito ALIMENTARI.
Nei giorni di mare già passati, avevo avuto l’impressione di avere “perfezionato” lo stile dei miei tuffi.
Non facevo altro che tuffarmi e complimentarmi.
Ed era proprio questa “specialità” che volevo far vedere ai cugini.
Per questo, prima di andare al solito ALIMENTARI, attraversammo la strada.
C’era e ancora c’è, una rotonda che è a picco sul mare e da cui tanti ragazzi si tuffavano in acqua. Ma quella rotonda non c’entra niente con me.
Io mi tuffavo dagli scogli più bassi e proprio lì portai tutta la compagnia.
C’era chi mi sconsigliava, perché ai nostri occhi anche quell’altezza era pericolosa, c’era chi aveva paura e chi addirittura tremava. Ma era proprio quello che volevo.
Poggiai la damigianetta di 5 litri sugli scogli, feci un po’ come per concentrarmi e partii a razzo, tra le urla di spavento dei miei cugini/e.
Appena fuori dall’acqua per prima cosa guardai loro, ancora schierati sugli scogli, che applaudivano.
Io però stranamente avevo avvertito un colpo alla pancia proprio mentre poggiavo nell’acqua.
Per un attimo fui sfiorato dal pensiero di aver dato una “panzata pazzesca” ma poi ero così felice che mi convinsi del contrario.
Quando arrivammo al solito ALIMENTARI, feci riempire la damigianetta di vino e tornammo tutti i casa.
Strada facendo, rispondevo alle domande, ai loro dubbi, alle loro paure e al mio coraggio.
Spiegai a lungo, la dinamica e lo stile e per tutto il tempo del pranzo e anche dopo, mi sentii un campione, quasi un attore.
Quel pomeriggio mi scivolò tra le dita, cantammo insieme e a lungo quella meravigliosa canzone “QUELLI DELLA MIA ETA’”. Avevo 11/12 anni ed ero perdutamente innamorato di quella cantante.
Quel giorno fu il giorno più bello di tutti i 15 giorni che passammo al mare.
A ripensarci fu una di quelle giornate che capitano poche volte nella vita.
Lo sentì dire anche da mio padre, e quindi era proprio così, e pazienza se dei libri di avventura che avevo portato non lessi neanche un rigo.
Avevo altro da fare, avevo altro da raccontare.
Lasciai tutto come stava in quella scatola di scarpe, chiusi la porta e quasi scappai via. E’ proprio vero, certe volte i ricordi fanno male e quella fu una di quelle volte.
Era estate, estate di tanti anni dopo, quando provai a cimentarmi in quel che ritenevo fosse stata una mia specialità: i tuffi.
Mi lasciai andare in picchiata da uno scoglio della stessa altezza di quella volta.
C’era solo mio figlio.
Quando riemersi dall’acqua, lo vidi con la testa tra le mani.
Non seppi mai se quel gesto era di vergogna o perché lo avevo veramente sbalordito.
A pensarci bene oltre ad avere la testa tra le mani era pure paonazzo in volto.
Al momento pensai si fosse anche un po’ emozionato.
Poi non ci pensai più.