Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Io non so per quale triste occasione della vita uno passa all’improvviso
dalle belle letture, da un contagioso buon umore e da una vita sociale
piena e impegnata, ad una tristezza senza motivo e senza perché.
Nel caso che io conosco, io non so, né lui mi ha mai detto di conoscere
quell’evidente e chiaro effetto scatenante che lo ha chiuso in un triste
isolamento.
Con sempre accanto un libro da leggere e nessuna voglia di uscire, di
andare in giro. Pronto a far “tragedia” per ogni piccola e insignificante
cosa che non riesce a leggere per il verso giusto.
Da un po’ invio con whatsApp alle persone che conosco e che so di non
disturbare, le “lettere” che pubblico.
Tra tutti c’è quel mio amico passato dai vent’anni più che normali ai trenta
che lo tengono spesso prigioniero di quel male oscuro che si chiama
“depressione” e che alterna momenti più intensi a momenti meno, senza
mai liberarlo completamente.
E’ contento quando riceve la mie “lettere”, per lui è sentirsi importante, non
dimenticato, insomma per lui è gioia.
Le legge concentrato, le legge tutte d’un fiato e spesso, come lui stesso mi
racconta, le rilegge.
A volte dopo massimo un paio d’ore, da quando le riceve, mi arriva un suo
commento, una sua riflessione, una sua storia.
Con lucidità e intelligenza mi racconta qualche sua storia analoga e lo fa con
una lettera più lunga della mia, mi racconta storie della sua adolescenza, della
sua giovinezza, quando usciva con amici e amiche per fare come lui dice,
baldoria, per andare al mare, ad una festa, ad un concerto.
Se però passano più di un paio di ore e non ricevo alcuna risposta, non la
riceverò più. Basta quel tempo per farmelo capire.
Se risponde sta bene, se non risponde no, è nelle mani di quella invisibile e
terribile malattia che lo fa sembrare troppo spesso triste e pensieroso.
Per tutto il mese di agosto, non ha risposto a nessuna delle mie lettere, mi ha
risposto all’ultima, appena due righe per “scusarsi” di non avermi inviato alcun commento, confessandomi di aver passato giorni un po’ così, ma che andava già meglio.
Io lo avevo già capito.
Dedico questa mia lettera a lui, a lui che non avrà occasione di leggerla.
Nella speranza che un giorno, lui e tutti quelli che soffrono come lui, possano
vedere la luce di un nuovo giorno.
Spero che quel mio amico torni a stare bene.
Io aspetterò sempre un suo “commento” alle mie lettere e avrò sempre il piacere di leggerlo.
Aspetterò di leggere qualche sua storia, qualche sua avventura di sicuro più
interessante delle mie, i suoi bei ricordi di una vita che all’improvviso gli è
crollata addosso.
Io aspetterò di ricevere un suo commento, un segnale.
Quel segnale mi dirà che sta bene e mi darà la speranza che un giorno ce la farà a guarire.
Un commento anche breve, qualche parola. Mi basterà.