Rubriche/pensieriParole/di Piero D’Errico
Mia amatissima mamma,
sei seduta sul letto in questo mite pomeriggio d’inverno, sfiorata da
quello spicchio di sole che entra dalla finestra, si sdraia sulla parete
davanti a te e ti fa compagnia.
Sei come sempre con lo sguardo assente e malinconico a fissare il
vuoto, aspettare, aspettare, aspettarmi.
In quella magnifica struttura che non lasceresti per nulla al mondo,
da cui non ti allontaneresti per niente al mondo.
Che ti fa sentire protetta, ti fa compagnia, ti coccola.
Come faccio a spiegarti che non ti posso sfiorare, non posso stringerti,
non posso baciarti.
Come faccio a spiegarti che sono a pochi passi da te, ma non posso
entrare.
Come faccio a spiegarti che sei, da sempre, la cosa più importante.
Come faccio a spiegarti, farti capire che in Paese c’è una emergenza,
un fatto che cambia le nostre abitudini, la nostra vita.
Che hanno messo delle regole e quelle regole dobbiamo rispettarle.
E intanto, scivola via l’ultimo spicchio di sole e sei già nel tuo letto.
Ed io torno a casa, ripetendomi, forse ad alta voce: passerà.
Non prima però di aver affidato un messaggio a quella ragazza, camice
bianco, guanti e mascherina, a cui ti sei affezionata di più.
Un messaggio semplice, che in questi momenti si sente più spesso:
ti voglio bene.
Sono già a casa, le ultime notizie mi gelano il cuore e la malinconia
copre ogni angolo di casa.
Domani sarà uguale.
Raccoglierò tutti gli abbracci che ora non posso farti e aspetterò il
giorno, quello giusto, per renderteli tutti.
Tutti quanti.