Era abbastanza freddo, ma io ero sudato, bagnato e spaventato.
Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Avevo messo in fila tante coincidenze e tanti effetti collaterali.
L’epidemia era scoppiata quando la CINA si preparava a festeggiare il Capodanno.
Quando da ogni parte del mondo erano ritornati al loro Paese per i festeggiamenti.
Quale momento migliore per un VIRUS, quale momento migliore per diffondersi nel mondo. Era il momento giusto.
Poi il fatto che era arrivato come una furia, con una violenza inaudita mandando in tilt ospedali, medici e operatori sanitari.
Tante attrezzature sanitarie che avrebbero potuto salvare tante vite non c’erano e per questo non era stato possibile salvarle.
Poi era arrivato il lockdown e la necessità di vivere distanziati cambiava tutto il modello lavorativo e anche la vita sociale.
Quel modello di vita basato sul “distanziamento sociale” aveva distrutto larga parte della nostra economia, dal turismo alla ristorazione, al
commercio.
Insomma tutti gli effetti collaterali mi portavano a pensare ad una “tempesta perfetta”, un’arrabbiatura di Dio.
Avrebbe lasciato solo qualche traccia del passaggio dell’uomo sulla terra.
Mi sembrava come se tutto fosse stato studiato per dare inizio alla fine.
E mentre stavo in casa a mescolare e rimescolare valori, sogni e desideri, a scoprire il valore dell’essenziale, continuavo a cancellare progetti e
obbiettivi, non c’era più tempo.
Non mi ponevo più il problema del dove andare, quale luogo visitare, cosa organizzare. Nulla.
Ero in fila a fare la spesa, a prendere qualcosa in più per non dover uscire ancora e nel frattempo mi chiedevo quando sarebbe finita e come sarebbe
finita la storia.
Quando finalmente fummo liberi di uscire, non feci fatica ad accorgermi delle macerie lasciate dal VIRUS.
La felicità di tornare ad una vita quasi normale, si scontrò con una crisi economica senza precedenti, si scontrò con fame e miseria.
Un intero sistema economico messo su con tanti anni di lavoro e sacrifici, spazzato via in pochissimo tempo.
Non c’erano soldi, non c’era lavoro, c’era solo un fuggi fuggi generale.
Cominciò a farsi largo una “ribellione sociale”, una rivoluzione lenta che col tempo diventò inevitabilmente cattiva, mentre in strada
cominciavano i primi disordini, i primi scontri.
Eravamo sull’orlo di una guerra civile.
Intanto la gente aveva già dimenticato la presenza, ancora in giro, del VIRUS, diventato in quei momenti il male minore.
Ricomparve il VIRUS che ancora dai balconi sventolavano le bandiere.
Il suo alleato fu la fame.
Morti in strada e sui marciapiedi e carretti che li caricavano e li portavano via.
Era solito infilarsi dalla persiana e arrivare prima sul cuscino e poi su di me, un raggio di sole.
Era inverno e quel raggio di sole mi piaceva, mi riscaldava, mi svegliava.
Si, erano le sette e mezzo quando come al solito aprii gli occhi.
In casa era freddo, era abbastanza freddo, ma io ero sudato, bagnato e come spaventato.
Colpa del sogno, colpa del brutto sogno che vi ho raccontato.
Mi venne in mente la voce di mia madre quando da piccolo mi svegliavo spaventato: “Non dare retta ai sogni, non dicono mai la verità”.
Ed io le credo ancora e vale anche per questo brutto sogno.