Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Non ricordo più il motivo per cui a conclusione di un battibecco durato tutto il tempo della ricreazione, con quel mio amico che non era neanche della mia classe, con tono e fare minaccioso gli dissi, anzi gli gridai “ti aspetto fuori”.

E nel frattempo cercai di incrociare involontariamente lo sguardo dei presenti per vedere se avevano apprezzato quella mia frase carica di coraggio.

Quel battibecco fu caratterizzato da qualche spintone, furono tirate in ballo le rispettive “mamme” e anche le rispettive “sorelle”.
All’uscita di scuola ero là ad aspettarlo, ma in cuor mio speravo non si presentasse.
Invece no.
Di botte ne diedi ma ne presi molte di più di quanto ne diedi.

Per meglio colpire, presi velocità e puntai tutto sull’effetto sorpresa. Niente.
Fu proprio allora che mi arrivò un ceffone sul viso che immediatamente cambio di colore, diventando color “rosso salsa”.
Non mi scoraggiai e dopo avergli sussurrato “non mi hai fatto niente” tornai alla carica e qualche colpo riuscii a metterlo a segno.

Fortuna che il bidello si mise in mezzo per dividerci e successe pure che nel momento più concitato, nel tentativo di sferrare un calcio al nemico, precisamente col piede sinistro che era il piede con cui avevo più spinta, involontariamente colpii il bidello che stava in mezzo a noi nel tentativo di dividerci.

Il fatto fu quello che lo colpii in un punto molto delicato e per questo motivo, lo vedemmo saltellare come un galletto in cortile, accompagnando quei saltelli a qualche imprecazione che se non ricordo male riguardava la “Madonna” e qualche Santo, se apostolo o no non ricordo.

Fu in quel momento che il duello fu sospeso e i duellanti e gli spettatori si dispersero in pochissimi secondi.
L’ indomani però il bidello era regolarmente al suo posto, tornato in forma perfetta, tanto da accettare come si dice, di buon grado, le nostre scuse.
Cercai a freddo, di analizzare l’incontro, le sue fasi, capire il perché avevo preso tutti quei colpi, il perché avevo sbagliato tanti colpi.

Potevo comunque ritenermi soddisfatto, non mi era andata poi così male.
La sera eravamo già in strada a giocare insieme a quell’amico con cui avevo avuto quel piccolo diverbio.
Un bernoccolo che coperto dai capelli non si vedeva, un paio di bottoni della camicia saltati e i pantaloni sporchi per la rovinosa caduta dovuta non a perdita
di equilibrio ma a uno spintone così forte che mi sembrò come se avessi cambiato quartiere e per finire quell’immancabile pozzanghera d’acqua in cui inzuppai bene, bene le mie scarpe.

Non furono poche le rimostranze di presidi e insegnanti e neanche furono pochi i rimproveri dei nostri genitori.
Quando sembrava tutto concluso, e io e quel mio amico avevamo capito di aver sbagliato alla grande, lo incrocio un giorno per le scale alla fine della mattinata scolastica e mentre io gli dico “ciao” lui mi fa “ti aspetto fuori” .

Che gli è preso, in quel momento ho pensato.
All’uscita infatti era già fuori ad aspettarmi.
Era solo per abbracciarmi e tornare a casa insieme.
Strada facendo ricordammo il fatto e ridemmo a lungo, il bernoccolo in testa si era sgonfiato ma un po’ mi faceva ancora male.

Fu così che da quel giorno e sino all’ultimo giorno si scuola, tornammo a casa insieme.
Lui faceva il giro più lungo per arrivare a casa, ma non gli importava niente.
Tante altre volte ci minacciammo a vicenda: TI ASPETTO FUORI io a lui e lui a me.
Ma solo per la bellezza di tornare a casa insieme.