Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

C’era da organizzare un matrimonio e due giorni dopo un compleanno.
C’era da sistemare gli ospiti arrivati da lontano, alcuni da molto lontano.


C’erano gli addobbi da fare, palloncini, cravatte e vestiti.
C’era la paura di dimenticare un dettaglio anche piccolo.
Insomma c’era un gran da fare, c’era da correre di qua e di là.
Furono giorni indimenticabili, uno più bello dell’altro, forse irripetibili.

Ci fu il matrimonio, ci fu il compleanno e poi seguirono giorni per stare
tutti insieme, raccontarci di passioni e di emozioni, raccontarci di vita, di come gli anni passano, di come si invecchia.
Andammo in giro di qua e di là per Chiese, mare e vetrine.
Andammo in giro a mangiare all’aperto quando il caldo del giorno lasciava il posto ad un’aria frizzantina mischiata al profumo del mare.

Era andato tutto come previsto, nessun particolare dimenticato o trascurato, era stato tutto straordinariamente bello, solo non avevamo
messo in conto quello che quei giorni avrebbero lasciato, non avevamo messo in conto quel vuoto che la fine di quei giorni ci avrebbe consegnato.

Era finita la festa di matrimonio e quella di compleanno, erano anche passati i giorni dopo carichi di racconti, di foto da guardare e di foto da scegliere.
Partirono uno dietro l’altro, tra sera e mattina le case si svuotarono e un silenzio assordante prese il posto di risate e chiacchiericcio.

Quel silenzio, quel non aver più nulla da fare, da preparare, fu di una violenza infinita, fu di una crudeltà senza limiti e confini.
Non c’erano più bimbi che strillavano né carrozzine che si aprivano e chiudevano.

Ci mancava anche quel difficile modo di capirsi tra lingue diverse che di solito finiva in una risata.
Giorni così strapieni di felicità, se ne contano pochi in tutta la vita, ma quelli si, sono già finiti nel conto.
Penso soffrì in uguale misura che era andato via e chi era rimasto.

Era scesa in tutti noi come una cappa di malinconia, una specie di tristezza, di solitudine.
Tutto era un ricordo, quei ricordi che sfogli volentieri, che ricordi volentieri, che sai che forse non ti capiteranno più.
Ho sempre avuto paura quando si mettono in fila un po di giorni che ti danno momenti di rara felicità, per quel che quei giorni ti lasciano, paura del dopo, quando tutto sarà finito.

Ero sicuro di aver imparato la lezione, che sarei riuscito a “prenderli con cura” senza immergermi più di tanto in quei momenti.
Gli avrei vissuti con un misurato distacco, giusto per tenermi in piedi dopo.
Quella volta non fu così.
Eravamo quasi tutti lontani ed eravamo quasi tutti come in attesa di sentirci, di parlare, ricordare.
Come se non bastasse lampi e tuoni annunciarono un brutto temporale che puntualmente da lì a breve arrivò.

Eravamo già a settembre, alla fine dell’estate e ad una malinconia in più da conteggiare.
C’era meno gente in giro e come avrebbe detto mia madre: “stava cambiando il tempo”.
“Mi si era finita anche l’estate” ed io seduto su un muretto di fronte al mare aspettavo l’onda giusta per far sprofondare dentro tutta quella malinconia,
tutta quella tristezza che mi era rimasta addosso.

Ho scritto il racconto “in passato” non so perché.
Come se la storia fosse passata, fosse storia vecchia. Invece no.
La storia riguarda il “presente” e l’onda giusta non è ancora arrivata.
Seduto sul muretto di fronte al mare, aspetto.