Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Cento storie da raccontare.
Storie di chi è stato raccolto in mare dopo ore di attesa e in quelle ore di attesa ha visto passare davanti a se i corpi senza vita di tanti disperati,
di tanti bambini che non ce l’avevano fatta ad aspettare.
Aspettare un aiuto, una luce, una salvezza a cui aggrapparsi.
Cento storie tutte diverse e tutte simili, neanche una facile.
Potrei parlarvi delle amicizie nate durante il viaggio, le amicizie nate tra sofferenze e un dolore condiviso e sopportabile per la speranza di una vita migliore.
Quelle amicizie sono per sempre.
Potrei parlarvi di pillole antidepressive che si passano tra di loro nei giorni successivi al loro arrivo.
Potrei parlarvi dei loro sogni che si spengono nel giro di pochi giorni lasciando il posto all’unico sogno che resta, l’unico sogno che rimane, il sogno di “sopravvivere”.
Potrei parlarvi del “lavoro”, così lo chiamano perché forse qualcuno così lo ha definito.
Sono lì su strade periferiche e buie con parrucche e trucco per piacere e soprattutto non farsi riconoscere nella vita di tutti i giorni.
Hanno un nome diverso e non riferiscono mai il loro indirizzo.
Il tutto in una scenario che si divide a metà, tra chi è abbagliata dai guadagni e chi mortificata nel cuore e nell’anima.
Del costo del “posto” pubblico che occupano e che sono costrette a pagare mensilmente.
A riscuotere, di sicuro per conto di altri, è sempre una donna.
Potrei parlarvi del perché ognuna di loro ha tanti figli, troppi il più delle volte.
Non altro, è esclusivamente un fatto culturale, un fatto che aggiunge miseria a miseria, una cosa di cui loro sono consapevoli, preparati.
Non fare figli significa essere emarginati, rifiutati dalla loro comunità
e anche dalla loro famiglia.
I figli sono voluti, una forma di rispetto della loro tradizione e anche della loro religione.
Non farli è una vergogna, un’umiliazione per loro e la loro famiglia.
Significa essere messe da parte e anche bullizzate.
Sono partiti con una maglietta e pantaloncini, e così sono arrivati senza una valigia, una borsa.
Sono arrivati solo con i loro sogni, con la loro immaginazione, con il desiderio di un benessere che nel villaggio non avevano.
Non tarderanno a capire che se anche non sono affondati in mare,
affonderanno ben presto nel mare della indifferenza.
Straordinariamente legati al Paese da cui sono fuggiti che continuano ad amare, a conservare le tradizioni, i sapori, cantare la loro musica.
Curarsi con erbe, radici e piante.
Potrei parlarvi del loro amore per i secchi di rame, ne hanno di ogni tipo e misura.
Forse rivivono la vita del loro villaggio dove nel secchio si lavavano, lavavano piatti e bicchieri o lo riempivano d’acqua per bere.
Potrei parlarvi di riti e di credenze.
Insomma c’è un mondo di sotto che non conosciamo ma che giudichiamo.
Se mi chiedete perché “io in tutto questo”. Non lo so.
Se mi chiedete se lo rifarei potendo tornare indietro, farei fatica a dirvi di si.
No, non lo rifarei, non ripeterei quello che ho fatto, lascerei perdere le “CENTO STORIE” del mio strampalato progetto sulla immigrazione.
E se ancora mi chiedete perché, è per l’impotenza che provi davanti a così tanta disperazione, all’impossibilità di fare anche il minimo che possa dare un senso, quel nulla che possa aiutare anche di un nulla, perché tutto ciò che si fa diventa invisibile e si perde nel mare di un profondo bisogno di tutto.
Ho respirato la loro gioia per le piccole cose, una maglietta usata o un paio di scarpe adidas consumate.
Ho avvertito la loro rabbia profonda, ho visto piangere di nascosto, ho visto nei loro occhi una profonda delusione.
Mi sono sentito addosso il peso del loro dolore e della loro rabbia, la tristezza di sentirsi respinti, rifiutati, sentirsi un “cuore a perdere”.
Ho anche visto nei loro occhi la bellezza di un sorriso e allora anch’io ho sorriso.
Non lascerò molto su questo mondo a testimoniare il mio passaggio, qualche lettera, qualche poesia, qualcuno parlerà bene, qualche altro parlerà male.
Lascerò le: CENTO STORIE da raccontare, da far conoscere. Un giorno.
Abbiamo iniziato questa “rassegna” parlando del mare, oggi concludiamo parlando ancora del mare.
Del mare per una vacanza o una speranza.
E’ stato come un viaggio ed ora siamo arrivati a destinazione.
In fondo si vedono già le luci gialle dei lampioni sul molo.
Ci sarà qualcuno ad accoglierci, qualche altro ad agitare un cartello: “ Tornatevene a casa vostra”.
Per ora grazie buon Dio per averci fatto toccare terra, per dopo:
“ SE HAI UN PO’ DI TEMPO, RICORDATI DI NOI”.