Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

All’inizio della pandemia, aveva già compiuto da qualche giorno

ottant’anni.

Viveva da solo in un paesino con appena 200 anime, un paesino

incastonato tra colline e boschi, completamente immerso nel verde

e a circa mezz’ora dal paese più grande.

Era solito passare le sue giornate seduto davanti al bar del centro

con suoi coetanei a ricordare e raccontare, oppure seduto sulla

panchina della vicina villa in una magnifica giornata di sole o

passeggiare vicino casa, fermarsi a parlare con chi incontrava in

quel paesino dove tutti si conoscevano.

Per colpa della pandemia, aveva cambiato la sua vita, il suo modo

di trascorrere le giornate, tra paura di incontrare qualcuno e paura

di uscire di casa.

Sempre più triste, sempre più taciturno, sempre più preoccupato.

Ci fu più di un caso di covid in quel piccolo paese che sembrava

come dipinto con un pennello su tela,  questo gli fece ancora più

paura e lo tenne ancora più chiuso in casa.

C’erano i volontari, che si occupavano di lui, ogni santo giorno

passavano, portavano qualcosa da mangiare e quello di cui aveva

bisogno.

Voleva farcela, voleva tornare a vivere come prima, riprendersi

per il tempo che gli rimaneva, la sua vita, incontrare i suoi amici,

giocare a carte, offrire mezzo bicchiere di vino rosso ai presenti,

magari fare un brindisi alla vita, alla fortuna, alla salute.

Voleva tornare in Chiesa e in Chiesa tornare a scambiarsi il segno

della pace. Era stanco di passare “ feste senza festa”.

Non prese il covid, per tutto un intero anno, rimase quasi sempre a

casa, a passeggiare nel piccolo giardino che la circondava.

La paura lo inchiodava a ottant’anni, non poteva scherzare e lui lo

sapeva.

Erano già in pochi in quel paesino e per colpa del virus ne rimanevano

ogni giorno sempre meno.

Lui sopravviveva, a volte si aiutava con una “carrozzina” che sempre

i volontari, gli avevano procurato.

Quando il medico curante bussò alla sua porta per fargli il vaccino,

era euforico, quasi fuori di se, da lì a breve sarebbe tornato a vivere,

desideroso di riprendere come confessò al medico, la vita di prima,

prima di morire.

Rimase chiuso sino alla seconda dose di vaccino, poi si fece coraggio,

fece qualche passo in più, qualche uscita in più, ma non era ancora

tornato tutto come prima.

Ci volle tempo e lui ce la fece a resistere.

Tornò arzillo più di prima, riprese con quelli della sua età che erano

rimasti, la vita di prima, disperatamente alla ricerca del tempo perduto.

Si raccontavano come trascorso tutto quel tempo, ad aspettare, aspettare

il giorno della normalità, della libertà.

Finalmente quel giorno era arrivato, era tornato tutto come prima, si

potevano fare le identiche cose di prima, era felice, era riuscito a

riprendere la sua vita, “prima di morire”, quel suo ultimo sogno

era stato realizzato.

Quel paesino salutò la notizia che il virus era stato sconfitto e quel

paesino scoppiò in festa.

Fu lui con il Sindaco, il farmacista e il parroco ad andare in giro a

raccogliere fondi per fare una festa grande in paese. In pochi giorni

ne avevano già raccolto a sufficienza.

Il paese fu illuminato a giorno da file di pali di luminarie che salivano

e scendevano tra i viottoli del paesello.

Ci si vedeva, ci si incontrava, si offriva qualcosa da bere in una atmosfera

di euforia generale.

C’erano baracche sparse qua e là che vendevano di tutto.

Era festa, una bella festa e lui correva su e giù a salutare, abbracciare, a

controllare che tutto procedesse bene e tutti fossero felici.

Tanta musica in giro, si mischiava con il suono  delle campane della

Chiesa che suonavano a festa, bambini che giocavano, bambini che

correvano,  palloncini che volavano, poi ad una certa ora, tutti si

spostarono ai bordi della collina, lui già stanco si fece spingere seduto

sulla sua carrozzina.

Andavano tutti a vedere i fuochi d’artificio che si alzavano in cielo sino a

squarciarlo, illuminandolo con tutti i colori dell’arcobaleno per poi scendere

a spegnersi nella valle.

Fu uno spettacolo grandioso qualcuno lo definì lo spettacolo più bello che

in paese si era mai organizzato. E lui sempre in prima fila, con lo sguardo

al cielo e le lacrime agli occhi.

Aveva coronato il suo sogno, rifare la vita che per più di un anno aveva

interrotto.

Era una magnifica serata di primavera, la luna piazzata al centro del cielo

si era divertita più di tutti.

Quando il cielo si spense e il fumo si dissolse, tutti presero la strada del

ritorno al centro.

Erano tutti felici, straordinariamente felici, c’era da fare un tratto di

strada al buio prima di arrivare alle prime luci del paese e lui era seduto

sulla carrozzina che una ragazza spingeva a fatica lungo quella ripida

salita.

Le prime luci del paese ancora in festa, lo videro col capo chino ed

insolitamente in silenzio. Sembrava dormisse.