Rubriche/di Piero D’Errico

Quando per la prima volta dalle pagine del Sedile parlai di GRETA THUNBERG, quasi non la conosceva nessuno.

Aveva appena 16 anni e ogni venerdi la trovavi seduta sui gradini davanti al Parlamento svedese con in mano un cartello scritto a mano con un pennarello nero: SKOLSTREJK FOR KLIMATET ( sciopero scolastico per il clima ).

Ha avuto il merito di mettere al centro di  ogni discussione, la salute anzi no, “la febbre” del pianeta.

Da allora in poi di strada ne è stata fatta, ma ne resta ancora tanta da fare considerate le  difficoltà di una transizione ecologica che se va troppo in fretta fa molte vittime (sociali) e se va troppo lenta diventa invisibile negli effetti, forse inutile.

E quindi c’è la speranza che col tempo, così come ci dicono, per ultimo nella riunione COP 26 di Glasgow, che  un giorno, il nostro pianeta, quel mondo che non si è fermato mai un momento, possa tornare a risplendere in tutta la sua bellezza.

Ci saranno verdi foreste che ci daranno  aria pura da respirare, mari puliti e saranno perfettamente ricostruiti gli habitat naturali per ogni essere vivente che ci fa compagnia su questo mondo.

Il clima sarà quello giusto, scenderà la “febbre” al pianeta, inondazioni, temporali e fiumi in piena, saranno un lontano e brutto ricordo.

Tutto scorrerà secondo le regole naturali secondo  parametri e  criteri che faranno star bene il mondo.

Le stagioni riprenderanno il loro corso, rispetteranno le loro regole, le loro funzioni originarie.

Vedremo alberi e fiori, fiorire e appassire puntualmente.

Capiremo che ne è valsa la pena, che in quei lunghi cortei di giovanissimi è valsa la pena di esserci, che quei cartelli con quelle scritte con pennarelli a colori avevano alla fine colorato il mondo.

Avevamo convinto, si, avevamo vinto.

Assalito da questi stupendi pensieri, in un bellissimo giorno di novembre, quei giorni che se per caso hai perso per un attimo la cognizione del tempo, puoi benissimo scambiare per un giorno di fine luglio che ti obbliga a cercare un po’ di ombra, non m’ero neanche accorto d’essere arrivato a casa.

Solito TG tra politica e polemica, soliti problemi piogge, allagamenti, temporali fuori stagione e poi tanto altro, e poi tanti barconi carichi di migranti, alla deriva e poi gente che si gira dall’altra parte, qualcuno che aiuta in maniera interessata e qualche altro che lo fa in maniera disinteressata.

E allora mi chiedo.

Che cazzo ce lo facciamo un mondo pulito se ancora pochi giorni fa in Afghanistan alcune madri disperate affidavano i loro piccoli di pochi mesi tra le braccia dei Marines americani.

Che cazzo ce lo facciamo un mondo pulito se poi a quattro passi da casa nostra si sta consumando un dramma umanitario di una crudeltà senza fine.  Se al confine con la Polonia, centinaia di persone, donne e bambini sono ammassati in una foresta al freddo e al gelo.

Centinaia di poveri cristi in fuga.

Sono ammalati, sono affamati, sono sfiniti e  guardano con occhi sbarrati il mondo che sognavano attraverso un filo spinato.