Lettere/di Luigi Mangia

Danilo Dolci è stato un maestro di scuola di strada. La sua scuola era quella di periferia, dell’emarginazione sociale nei quartieri poveri di Palermo. Il grande studioso e teorico della pedagogia sociale, capì che: “ l’essere umano, per crescere, ha bisogno di sognare” di avere entusiasmo, di agire e fare, di conoscere e sapere, di sentirsi crescere felice e soddisfatto del proprio impegno.

La scuola di Dolci non era quella della competitività fra le classi sociali, perché era la scuola inclusiva delle convivialità, come era anche la scuola del salentino Don Tonino Bello, prete e poeta voce dei poveri e degli esclusi. La scuola inclusiva è quella in cui tutti i sensi hanno colore e sono il fondamento della didattica inclusiva.

Tutte le attività, in particolare i lavoratori, organizzati su esperienze nuove e stimolanti, da vivere in un contesto protetto e calibrato sulle necessità di tutti, nessuno escluso. La forza e la bontà della didattica inclusiva è quella di creare e promuovere occasioni relazionali e motivazionali in grado di arricchire il bagaglio emotivo ed esperienziale di tutti gli allievi. La scuola inclusiva deve avere porte e finestre aperte al paesaggio della città e deve organizzare esperienze didattiche in campagna dove piantare fiori e alberi, seguendo le fasi del lavoro e scoprendo nozioni di botanica e ambiente.

La scuola, perciò, non può e neanche deve trascurare la profonda trasformazione del paesaggio intorno alla città. Gli studenti devono vedere e toccare con le loro mani la morte degli ulivi, le cui radici sono nella terra nei secoli del tempo. Devono sentire come è cambiato il suono del vento con gli ulivi spogli delle loro foglie, ridotti in tronchi secchi. Devono sentire la forza del sole sulla terra senza l’ombra degli alberi, tronchi spogli morti. Devono conoscere il sapore dell’aria che ha perso il sapore dell’ulivo verde. Nel paesaggio tutti i sensi sono coinvolti e tutti hanno un colore. La scuola, ancora, deve curare l’educazione all’orientamento e alla mobilità perché aiuta la crescita e favorisce la maturità, la responsabilità e l’autonomia degli studenti. In città i marciapiedi devono essere il luogo di incontro di amicizia, di socialità, devono essere cioè lo spazio della parola. La mobilità in città deve essere libera e sicura, cioè libera dalla paura. La scuola, infatti, insegna a vivere e a abitare ad essere corretti e rispettosi degli arredi e degli spazi comuni.

Nel PNRR ci sono importanti soldi da spendere per realizzare una scuola capace di educare e soprattutto in grado di assecondare gli studenti nelle grandi sfide del terzo millennio, a partire dalla grande rivoluzione iniziata con l’avvento delle tecnologie digitali. Infine, la scuola è chiamata ad essere in prima fila per aiutare gli studenti a superare i gravi problemi causati da due anni di vita isolati a causa del virus e costretti, senza essere preparati, alla didattica a distanza. La scuola inclusiva, se bene impostata, finalmente annullerebbe le distanze e differenze nell’istruzione tra la scuola del Nord rispetto a quella del Sud: tutto ciò è nella sfida che ci impone il PNRR.

Con il mio fervido augurio che questa lettera aperta ai candidati sindaci e ad Anna Antonica dirigente del 1° Polo candidata al Consiglio Comunale giunga a destinazione.