Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Era il Bar che frequentavo, dove compravo il pasticciotto la mattina e il ghiacciolo arcobaleno nel pomeriggio, ma il vero motivo per cui ci andavo era perché dietro il bancone c’era una mia coetanea, la figlia del titolare del bar.
Eh si andavo lì, a voi lo dico perché mi fido, solo per quel caschetto d’oro alla Caselli che trovavo ogni santo giorno.
Quel bar, in quella località di mare, che apriva solo nei mesi estivi, su quella strada che portava dritta al mare e a pochi passi da casa mia, aveva puntualmente aperto in quell’estate così lontana che non riesco più neanche a datare.
Quell’anno avevo ripreso a frequentare quel bar dopo una breve pausa di riflessione dovuta ad una brutta figura rimediata una mattina di luglio quando a lei che gentilmente mi aveva chiesto cosa prendessi, avevo risposto: un calzone alla crema tra una risata che non volle trattenere e il mio imbarazzo.
Una storia che vi ho già raccontato e che mi aveva fatto diventare paonazzo di vergogna e tolto anche il piacere di entrare.
Finalmente m’ero fatto coraggio, avevo buttato tutto alle spalle e ripreso la vita di sempre bar compreso.
Con lei scambiavamo ogni tanto qualche parola, parlavamo di scuola, di musica, dell’estate sapendo che a fine stagione ognuno sarebbe ritornato al suo paese.
Il tutto in una cornice di impenetrabile innocenza e leggerezza.
Fuori un jukebox ad alto volume non smetteva mai di suonare la canzone del disco per l’estate, la più gettonata di quell’anno, “ il mondo”.
Quella mattina ero entrato pimpante come al solito e insieme a me era entrato con un’altra persona, un cagnolino che sembrava di peluche.
Quel cagnolino, non so, sembrava come se mi conoscesse già e quindi cominciò a giocarmi, saltarmi sopra, farmi festa.
Per non essere da meno cominciai ad accarezzarlo e lui sembrò sempre più felice e forse anche più rilassato.
Quel cavolo di cane alla fine, pensò bene di ricambiare quel mio atteggiamento affettuoso, quelle mie carezze morbide e leggere, con una interminabile “pisciata” sulla mia scarpa bianca.
Fu a quel punto che il popolo presente si divise, da una parte chi sfacciatamente rideva a crepapelle, dall’altra invece chi mostrava un senso di solidarietà e dispiacere, insomma come se mi dicesse sottovoce “poverino”.
Ed io tra di loro a fare finta di nulla.
Se non ci fosse stato nessuno, lo avrei messo in un frigo, avrei abbassato al minimo la temperatura e lo avrei imbalsamato vivo.
Oppure gli avrei tirato un calcio in culo così forte da farlo arrivare sul trampolino degli scogli e poi da lì lo avrei felicemente visto precipitare in acqua sperando in un mare forza sei.
Non ebbi il coraggio di guardare la mia amica del bar per capire da che parte stava.
Sicuramente stava dalla parte di chi rideva a crepapelle nel vedere la mia scarpa bianca gocciolante e ingiallita di colpo.
Uscii quasi di corsa e andai dritto a mettere il piede sotto la fontana vicina e lì lo lasciai a lungo.
Con quella mia coetanea, ci siamo incontrati dopo un bel po’ di anni, lei spingeva la corrozzina con dentro una bambina ed io spingevo una carrozzina con dentro mio figlio.
Stessa località di mare, il viale principale come al solito affollato, non era cambiato nulla, la luna sempre più bella sembrava avere fretta di tuffarsi nel mare e scomparire.
Quel bar non c’era più da ormai un bel po’ e al posto dei ghiaccioli arcobaleno vendevano cianfrusaglie.
Non so a lei ma a me in un solo secondo, sono passati davanti venti e più anni.
Non ci siamo salutati, ci siamo riconosciuti e sorriso.
Per me è stato più di un saluto, per me è stato un ricordo stupendo, il ricordo di un bellissimo tratto di vita in cui c’era tutta la nostra spensieratezza, la nostra infinita allegria, tutti i nostri sogni, tutti i nostri progetti di cui molti andati in fumo.
Mi passò davanti il ricordo di quella scarpa e poi di quella maglietta a righe rosse e blu, la mia preferita, quella maglietta che amavo così tanto da non voler mai togliermela di dosso.
Quella maglietta che il tempo aveva sbiadito, quello stesso tempo che aveva sbiadito anche quella nostra bellissima età.