Rubriche/di Piero D’Errico
Arrivava solo qualcosa delle decine di cose elencate in quella bella letterina scritta a Babbo Natale, senza neanche un errore, senza cancellature, senza una macchia di inchiostro.
Eravamo felici uguale, felicissimi, anche per una sola, semplice cosa e forse già capivamo l’impossibilità di averne più di una sin da quando quella letterina la scrivevamo.
Andava a finire sotto il piatto di papà che ad un tratto verso la conclusione del pranzo, quando sulla tavola era rimasta solo un po di frutta di stagione, così come per caso se ne accorgeva facendo una faccia mista tra sorpresa e meraviglia.
E allora ero già in piedi sulla sedia, a leggere la letterina.
In cima al foglio un albero di Natale colorato, che lentamente perdeva polvere di argento e oro.
Subito dopo, nella letterina, si confessava tutto l’amore per i genitori, la nonna, gli zii, cuginetti, fratelli e sorelle e per concludere una serie di promesse, essere più buoni, ubbidire ai genitori, studiare di più, non fare capricci e non fare arrabbiare nessuno.
Alla fine partiva l’applauso e il giro intorno al tavolo per baciare tutti e raccogliere quelle 10 o 20 lire che ci regalavano.
Insomma dall’indomani in poi saremmo stati più buoni.
Così, quasi miracolosamente.
Erano quelle promesse che quando le fai ci credi davvero, magari ci avresti anche giurato, ma che poi l’indomani non ricordi più.
Ed ora che all’improvviso siamo diventati grandi e non dobbiamo più né scrivere letterine, né fare finta di trovarle, ora che siamo troppo indaffarati, che dobbiamo andare in giro per addobbi, regali e ricette, ora che non abbiamo più un attimo di tempo e che forse non troviamo più né la penna, né un foglio su cui scrivere, facciamo finta di essere ancora bambini, per una volta sola torniamo bambini e scriviamoci una letterina, scriviamola a noi stessi.
Una sola promessa, due sole parole:
diventiamo migliori.
Tanto domani non ce la ricorderemo più.
Proprio come i bambini.