Rubriche/di Davide Stasi
Negli ultimi quattro mesi, si sono perse quasi 500 imprese. Si tratta di un’inversione di tendenza causata dal rallentamento dell’economia dopo mesi di crescita oppure sono i primi segnali di uno scenario più cupo per la provincia di Lecce?
Quel che è certo è che il nuovo anno non si è aperto nel migliore dei modi. Alla base possono esserci molteplici fattori, tra cui l’inflazione che ha determinato l’aumento esponenziale dei prezzi delle materie prime con ripercussioni lungo tutta la filiera produttiva. Nell’ultimo quadrimestre, ben 487 attività sono «scomparse», come saldo tra le nuove iscrizioni e le cancellazioni dal Registro imprese della Camera di Commercio di Lecce. Ad ottobre scorso si contavano 66.012 aziende contro le 65.525 di fine febbraio.
È quanto emerge dal nuovo studio condotto dall’Osservatorio Economico Aforisma: un approfondimento accurato quello realizzato dal data-analyst Davide Stasi che ha elaborato i dati più recenti sulla nati-mortalità delle imprese del leccese, ad eccezione di quelle inattive e di quelle sottoposte a procedure concorsuali. Si tratta, quindi, di un sottoinsieme dello stock totale delle attività economiche.
«La stagnazione dell’economia – spiega Stasi – prosegue dall’ultimo scorcio del 2023, riflettendo lo scarso dinamismo della domanda interna ed estera. La persistente debolezza del ciclo manifatturiero e delle costruzioni si è estesa ora anche al comparto dei servizi. La crescita è stata pressoché nulla, frenata dall’inasprimento delle condizioni creditizie, nonché dai prezzi dell’energia ancora elevati; i consumi hanno ristagnato e gli investimenti si sono contratti. La dinamica dei prestiti, che sono necessari per fare nuovi investimenti e far girare gli ingranaggi dell’economia, rispecchia la marcata debolezza della domanda di finanziamenti e la rigidità dei criteri di offerta, coerentemente con l’orientamento restrittivo della politica monetaria. I passati rialzi dei tassi ufficiali – aggiunge Stasi – continuano a incidere sul costo del credito alle imprese in maniera più intensa rispetto a quanto suggerito dalle regolarità storiche. La restrizione monetaria sta determinando anche una flessione della raccolta bancaria».
Per ogni settore economico, sono stati riportati numeri, cifre e cause di questa inversione di tendenza. Il settore più penalizzato è il commercio, che registra un saldo negativo di 196 imprese (ad ottobre erano 20.778 ed ora 20.582) per effetto delle maggiori vendite a distanza (e-commerce) durante le festività natalizie e nel periodo immediatamente successivo. Segue l’agricoltura: -91 ditte (da 9.273 a 9.182) per effetto della xylella e della desertificazione delle campagne salentine.
Le costruzioni perdono 62 attività (da 9.991 a 9.929) per effetto del depotenziamento del Superbonus e della scomparsa dello sconto in fattura e della cessione del credito. Le attività manifatturiere si riducono di 61 unità (da 5.085 a 5.024) per effetto della crisi energetica che impatta sui costi di produzione.
Anche le attività di alloggio e ristorazione perdono colpi: -57 attività (da 5.947 a 5.890) per effetto della mancata destagionalizzazione. In calo anche le altre attività di servizi (-34) per effetto del calo del potere di acquisto delle famiglie che si limitano ai servizi ritenuti essenziali e le attività di trasporto (-22) per effetto del costo del carburante tornato a salire.