Rubriche/di Piero D’Errico
Gli piaceva raccontare a tutti di “quel gran genio del suo amico” compagno di scuola e di banco.
Quell’anno avevamo un po’ tutti preso in prestito, la canzone del più grande di sempre: Lucio Battisti.
Lui, l’aveva anche adattata, la canzone faceva: “quel gran genio del mio amico, con un cacciavite in mano fa miracoli (…)” per lui invece era: “quel gran genio del mio amico con una penna in mano fa miracoli (…)”
Tutto cominciò con il racconto di quell’amico che per lui era il “gran genio”, in cui descriveva i “dettagli del cuore” nell’ultimo giorno di scuola.
Dalle medie in poi stessa scuola e stessa classe, una classe contagiata da una mediocrità di cui facevo felicemente parte anch’io.
Ci diplomammo quasi tutti con lo stesso voto, il minimo. Se ben ricordo era TRENTASEI/ SESSANTESIMI, tradotto: 6.
Galeotto per lui fu quell’articolo in cui quel suo amico, raccontò l’ ultimo giorno di scuola che più di qualche lacrima aveva fatto scendere a noi bravi studenti.
Quel racconto fu l’occasione per sentire più spesso quel suo amico e tra le cose che amava raccontare una me la ricordo bene.
Quel pomeriggio al telefono, lo aveva sentito un po’ più preoccupato, stava scrivendo qualcosa, qualche altro racconto.
Pensò di averlo disturbato, di aver interrotto la sua ispirazione e frettolosamente lo salutò.
Non riusciva però a darsi pace, a stare tranquillo, lo richiamò più volte e quella volta che gli rispose gli chiese i motivi della sua preoccupazione: “Niente – rispose quel gran genio del suo amico – non sto riuscendo a chiudere un racconto che avevo promesso di mandare ad una certa ora.”
Conosceva il giornalino della Parrocchia su cui pubblicava quasi ogni domenica una storia e quella domenica mattina di buon’ora andò in Chiesa a ritirare il giornalino.
Il racconto del suo amico, era stampato in prima pagina.
Lo lesse tutto d’un fiato ed era felice per lui, per quel gran genio che per lui era.
Gli telefonò immediatamente: “Sapevo che ce l’ avresti fatta, io lo sapevo già, per questo sei un gran genio”.
Quel suo amico non fini’ di ringraziarlo per tutto l’affetto che le sue belle parole contenevano: “Grazie, mille volte grazie”.
La verità era che si riconosceva in quasi tutti i racconti fatti dal suo amico ed era sicuro che quando parlava di scuola, quei racconti lo comprendevano.
Era stato a lungo suo compagno di banco e forse, secondo lui, anche il preferito tra tutti.
Non vi ho ancora parlato di chi per lui era quel gran genio.
Si, “quel gran genio del suo amico” ero io, proprio io, immeritatamente io.
Da lui sempre tanti complimenti, sempre tanto garbo e tanto affetto.
Grazie vecchio amico mio, hai scelto di andartene troppo in fretta, ma mi hai aiutato a credere in me e forse per questo continuo ancora a scrivere.
Grazie vecchio amico mio, volevo dirti un’ultima cosa, spero valga ancora… eri tu il mio amico preferito. Si, eri proprio tu.
Ed anche ora che non ci sei più, nei miei pensieri, lo sei e lo sarai per sempre.