Il Sedile

Al voto, al voto.

Rubriche/ Opinioni/ di Piero D’Errico

Galatina – Ai tempi del proporzionale e cioè del pentapartito e cioè ai tempi della tanto odiata prima repubblica, ogni partito vinceva o perdeva nel senso che guadagnava voti o perdeva voti rispetto a precedenti consultazioni e poi ognuno strappava il proprio programma, che per la verità non ha mai contato niente e riscriveva insieme agli alleati con cui si accordava per poter governare, un altro programma di sintesi che per la verità non centrava nulla neanche quello.
L’accordo infatti non era sul programma era sul potere e sottopotere, ministri ognuno con la sua importanza, il suo peso e il suo portafoglio o altro potere collaterale, presidenze, nomine enti ecc. ecc.
Insomma l’arte del proporzionale consisteva nel mettere d’accordo un po’ tutti i partiti intorno a lottizzazioni, centri di potere e poltrone.
Chi era d’accordo sulla spartizione delle poltrone, lo era in automatico anche sul programma che magari non aveva neanche letto, e che diceva tutto e diceva niente. Poteva succedere, come successo più volte, che anche a un partito abbastanza piccolo, che non aveva neanche vinto, toccasse la presidenza del consiglio.
Ovvio tutto si incastrava nella complessità del potere e poteva succedere che il partito del presidente del consiglio fosse minoranza nel governo.
Insomma il proporzionale era un modo scientifico per raggiungere una maggioranza parlamentare, era un modello condiviso di occupazione della società civile già che le percentuali di potere pattuite, scivolavano a cascata anche nei concorsi pubblici, nomine, carriere e tutto ciò che era di emanazione diretta della politica.
Eravamo in quella straordinaria prima repubblica che ha fatto tanto male al Paese e lo ha ridotto in questo stato.
Ho fatto questo “preambolo” ( termine anche questo della prima repubblica ), per arrivare ai giorni nostri che hanno visto scoppiare all’improvviso un atteggiamento “maggioritario” in un sistema rimasto, dopo una serie di tentativi falliti, sempre “proporzionale”.
Parlo ora del giovane DI MAIO e delle sue oggettive difficoltà a mantenere un equilibrio che può perdere e ritrovare ogni momento.
E’ stato forse il primo a capire che nel “proporzionale” bisogna governare insieme e per governare insieme bisogna adattare il programma e renderlo compatibile con le alleanze da fare. Apriti cielo.
E’ partito l’urlo e non solo l’urlo, della base che gridava alla realizzazione del “loro” programma e soprattutto il “loro” reddito di cittadinanza che restava “materia irrinunciabile”.
DI MAIO provava a fare quello che si fa in un sistema proporzionale quando nessuno è maggioranza, adattava il programma e se c’erano punti incompatibili, altro non poteva fare in nome della governabilità e l’interesse del Paese, che eliminarli.
La cosa scatenava l’inferno nella base dei 5 stelle, fatta di duri e puri.
Per loro rivedere, correggere, eliminare alcune posizioni politiche su cui hanno messo “like” diventava difficile ed ecco apostrofare la loro rabbia con parole grosse, quali “trasformisti” e “traditori”.
E forse anche a ragione, perché forse quel modo così estremo di coerenza, quel modo di intendere la politica ha portato tanto consenso.
Sbaglia anche il PD a tirarsi fuori da tutto, a dichiararsi opposizione e basta, perché così facendo cade anch’esso in un tipico ragionamento maggioritario.
Diversa completamente la posizione degli “eletti” 5 stelle, che sperano in un governo a tutti costi, con loro o senza, e sono disponibili a mediare, trattare e accordare.
La umana preoccupazione di tornare al voto, in tanti che si son trovati “eletti per caso”, senza saperlo o per grazia ricevuta, unita alla paura di un non facile ritorno, crea appunto tanto “sconcerto”.
L’eventuale perdita di un’occasione più unica che rara, dell’occasione della vita, è facile immaginare, terrorizza un po’.
E questo proprio quando si stavano affezionando all’idea, cominciavano a conoscere strade e palazzi, cominciavano ad abituarsi ad attraversare le stanze del potere.
La posizione quindi “intransigente” della base, potrebbe nelle prossime ore, se non già successo, entrare in conflittualità con la posizione “governativa” degli eletti ed arrivare sino al disconoscimento degli stessi.
Fatto che potrebbe sbattere, se non già successo, anche su DI MAIO, disponibile a confrontarsi ( avendo capito il senso del sistema proporzionale ) con partiti tradizionalmente “nemici”, leggi PD, ma che la base considera un atto ostile.
Il grido”AL VOTO AL VOTO” dello stesso DI MAIO, nelle ultime ore, altro non fa che compattare la base e altro non fa che creare mal di pancia negli eletti, indisponibili a rischiare di perdere quell’occasione che ti cambia la vita.
I giorni che verranno saranno di incarichi e pre-incarichi, tra passerelle davanti alle telecamere di politici, politicanti e finti leader, tra chi griderà al voto per spaventare e chi griderà al voto con convinzione.
Ovvio, ogni grido “ al voto” , vero o finto che sia, farà tremare o al limite farà venire la pelle d’oca agli “eletti”.
Continuerà quindi una guerra invisibile tra chi vuol mediare ( eletti) e chi considera la mediazione una sciagura, una maledizione.
Io non so come andrà a finire, ma comunque vada: abbiamo perso un po’ tutti.

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