Rubriche/Opinioni/di Veronica Romano
“Nonna, raccontami com’era la città ai tuoi tempi, quando tu eri giovane.Spiegami come funzionavano le cose, parlami del lavoro, della politica della gente”.
E lei: “Sarà che ero più giovane, che avevo meno anni e meno malanni, ma ai miei tempi c’era “più speranza”. Avevamo la speranza di migliorare, la speranza di stare un giorno meglio.
Facevamo rate per le spese importanti e per ogni cosa nuova che entrava nelle nostre case era festa, quasi non ci credevamo.
C’era più onestà in politica e due partiti importanti, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano.
La Democrazia Cristiana era al potere, già allora cominciava a diffondere quel cattivo germe comunemente chiamato “clientelismo” e intorno a se cominciava a formarsi una fila di gente che aspettava
Il Partito Comunista, non potendo utilizzare quel sistema, lo contestava e intorno a se cominciava a formarsi una fila di gente che protestava.
Piazze piene ad ascoltare i “comizi” e la città che cresceva a vista d’occhio.
I terreni intorno erano tutti coltivati, sembravano un mare d’erba.
La domenica mattina in Chiesa, la sera ogni tanto al cinema.
Insomma eravamo una città importante, piena di iniziative, di partecipazione, c’era “vita” come dite voi giovani.
C’era più amicizia, più altruismo, c’erano le stagioni, c’erano le tradizioni.
E poi arrivava il Carnevale, con le sue sfilate e le sue ballate.
Eravamo il centro del mondo, ci sentivamo importanti.
Vederla oggi mi fa male al cuore, non è più quella di una volta. E’ una città vecchia come me, abbandonata a se stessa e neanche la politica è più quella di una volta.
La città sprofonda nella inadeguatezza e nella improvvisazione.
Allora c’era un grande fermento, c’erano grandi progetti. Dei progetti realizzati, non è rimasto più niente.
Oggi si ha la certezza di sapere anche quello che non si sa e l’arroganza di non vedere tutto quello che non si sa.
La città è stata trascinata a terra dalla mediocrità politica, la città è rimasta senza una vera “classe dirigente”.
Oggi si ama meno la città e si ama di più il potere e soprattutto si ama l’importanza che il potere può comicamente attribuire.
Lo si usa per ostentarlo, per esibirlo, per farsi “belli”, mai per usarlo per il motivo per cui si ha.
Falsi intellettuali e paraculi, hanno preso il sopravvento ed hanno reso la città “irriconoscibile”, avvolgendola in una diffusa decadenza.”
Così parlò mia nonna, qualche mese fa .
Aveva capito tutto, aveva ascoltato tutto, studiato tutto, non si sbagliava.
Intorno s’era formata un’aria malinconica ed io non sapevo cosa dire, cosa dire di bello che non fosse “bugia”.
E mentre la nonna si addormentava dolcemente, tra le braccia del solito riposino, continuava a girarmi nella testa quella sua frase d’inizio: AVEVAMO LA SPERANZA.
Ho provato un po’ di invidia per quei tempi.
A noi hanno tolto anche quella.