Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Quella sera era più tardi del solito. Ero stato al solito posto e con i soliti amici, seduto sui gradini di un vecchio negozio di fronte al bar chiuso già da un pezzo.
Scorreva superba, davanti a noi, la strada principale, la strada su cui si affacciavano quasi tutte le attività, bar, alimentari, fruttivendolo, giornalaio, il calzolaio e la Chiesa.
Erano stati i soliti discorsi, qualcuno era stato interrogato, qualche altro trovato impreparato, discorsi di scuola che si intrecciavano con il
racconto di sogni e conquiste.
Ed io tra il mio tanto da fare rimandavo come sempre, lo studio al rientro a casa la sera.
“C’è più calma, più silenzio, più pace, si studia meglio e si impara presto” o almeno così dicevo a mia madre.
E poi quella sera avevamo studiato la tattica e fatto la formazione per la sfida della domenica che vedeva di fronte la squadra di calcio del SUD del paese e la squadra di calcio del NORD del paese.
Noi eravamo del SUD un quartiere popolare, classe operaia e contadina.
Il NORD del paese era invece abitato dal ceto medio, insegnanti, impiegati, piccoli imprenditori.
Noi, abitavamo al SUD, in quella parte del paese che ad ogni pioggia si allagava e che cominciava a popolarsi sempre di più.
Tornavo a casa a piedi, poco più di 200 metri ancora più a SUD quasi al confine o come qualcuno avrebbe detto: “ai bordi di periferia”.
Quella sera non so cosa mi prese, al solito gesto di mandare baci a tutte le nicchie con Santi o Madonne che c’erano nelle verande o per strada sui muri delle case e che era una cosa che facevo da sempre, quella sera guardavo le finestre illuminate delle case e immaginavo la vita dentro.
Dalla finestra vidi la luce accesa nella casa di un mio amico di scuola, “studia !!”, destinato ad essere da sempre il più bravo.
Vidi dalla finestra la luce accesa della casa di una famiglia che conoscevo, “hanno avuto da pochi giorni un bambino”, forse piange e forse sento anche il suo pianto.
Guardai la finestra illuminata della casa di una persona anziana, “sta male, dice di voler morire ma le figlie no, sono sedute al suo fianco, e non vogliono lasciarla andare via”.
C’è un amico di mio padre che è arrivato a casa, entra la bici, “Buonasera gli dico” e lui “Buonanotte Piero”.
Da una finestra accesa vengono voci cariche di rabbia, tutti gli abitanti del rione lo conoscono, prima di tornare a stenti a casa, fa il giro delle osterie.
Mi passa un gatto nero davanti, mi blocco. Sono superstizioso da sempre.
Aspetto che sia qualcun altro a passare prima di me.
Non c’è anima in giro ed io aspetto ancora.
Quel gatto nero torna indietro da dove è venuto e allora penso: “ e’ come non avesse attraversato” e riprendo a camminare verso casa.
Di una sola luce che filtrava da una persiana, non ero riuscito a immaginare la vita dentro. Non ricordavo chi abitava in quella casa.
“Pazienza, forse hanno dimenticato la luce accesa”, – pensai.
Sono arrivato a casa, mia madre come sempre ha lasciato la luce della veranda accesa. Giro la chiave ed entro, sul tavolo ancora aperti i libri dei compiti da fare, da studiare.
Stasera però no, non è serata.
Mi metto a letto, in quel letto che di giorno è nascosto dentro un mobile e che mia madre apre ogni sera.
Domattina dovrò alzarmi presto a studiare, me lo prometto.
E’ l’ultimo periodo di scuola, quello più difficile, devo farcela, i miei genitori fanno tanti sacrifici.
Che strano, non riesco a dormire, mi torna in mente la luce accesa di quella casa ed io che non ero riuscito a immaginare la vita dentro.
Ci volle un po’, era la finestra della sarta del rione, amica di mia madre, in quella casa si entrava dall’altro lato della strada.
Era la casa della sarta, dava gli ultimi ritocchi, le ultime rifiniture al vestito.
L’indomani mattina, c’era un matrimonio in quella Chiesa sempre sulla strada principale. Si sposava una ragazza più grande di noi, una ragazza su cui noi tutti avevamo lasciato gli occhi.
L’avevamo eletta, ed eravamo stati tutti d’accordo, la più bella del rione e lei lo sapeva.
Tanti auguri a lei, rimasta bella anche oggi.
Ed ora ho proprio sonno: “buonanotte Piero”.