In fondo, il fascino dell’estate è proprio quello, ci lascia sul più bello e noi lì restiamo ad aspettare il suo ritorno. Giusto un tempo che a volte ci sembra troppo lungo, a volte tanto breve. Non facciamo in tempo a gridarle: “No, così non vale” che è già sparita.
Io non so per quale triste occasione della vita uno passa all’improvviso dalle belle letture, da un contagioso buon umore e da una vita sociale piena e impegnata, ad una tristezza senza motivo e senza perché.
Eravamo in quel bellissimo posto che ai nostri occhi era il più bello del mondo. La villa di un amico di scuola che oltre ad essere il più bravo era anche il più ricco.
Caro papà, sono a scuola, seduta all’ultimo banco vicino alla finestra di un’aula troppo seria e triste, in uno degli ultimi giorni di scuola che precede la fine dell’ultimo anno scolastico.
Avevamo attraversato l’Europa in cerca dei concerti rock più graffianti. Eravamo usciti fuori dai confini del nostro Paese. Eravamo andati sino a Berlino per ondeggiare le braccia sotto il palco, avvolti da un fumo che non veniva di sicuro da una vecchia ciminiera.
Ormai è sera. E’ la sera di una domenica di mezza estate. Quelle domeniche dure a finire, quelle domeniche lunghe da morire. Nel pomeriggio un temporale ha sospeso il caldo per un paio d’ore.
Dicono di me che da bambino, avevo paura dell’acqua. Che prendevo la rincorsa per entrare in acqua e una volta toccata con un piede, impaurito battevo subito ritirata.
A piedi dalla periferia dove abitavamo in piazza e da lì ad aspettare il pullman per il mare che passava alle otto. Pieni di borse e sacchetti in cui c’era di tutto, dal mangiare al bere, dagli asciugamano alla crostata.
Quando ancora mancavano una quindicina di giorni per la fine dell’anno scolastico, iniziava il conto alla rovescia. Si respirava già un’aria di festa, c’era intorno quel “friccichio” che fa vedere tutto con più gioia, con più pazienza, con più entusiasmo.
Seduto su una panchina di fronte al mare in una notte d’estate e di luna piena. Guardo la LUNA, guardo la sua luce riflessa nell’acqua. Quella LUNA che tutto il mondo festeggia mentre lei non sembra per niente interessata e forse, non se ne accorge neanche.
Trovai per caso quella foto, tra mille e più altre cose, in una scatola di scarpe nascosta in un angolo di uno sgabuzzino dove non c’era posto neanche per passare. Era in mezzo a bottiglie piene di salsa, a bottiglie vuote e a un’infinità di cose inutili che ricordavano la mia infanzia.
C’era una volta…le favole cominciano sempre così vero?
E allora c’era una volta la prima Repubblica. In quella prima Repubblica, dicono, che tantissimi politici fossero poco onesti anzi diciamo pure corrotti. Dicono che usassero i soldi pubblici per finanziare parenti ed amici e per arricchire se stessi in barba ai cittadini che li avevano votati ed eletti.
Come facevano? I modi erano tanti e tutti diversi tra di loro. Ve ne raccontiamo uno di piccolo spessore come lo era peraltro il politico in oggetto che si credeva (a torto) molto furbo ma poi ogni volta cascava come fanno gli asini.
I politici di quel tempo, ed il nostro in modo particolare avevano, un solo problema ed era quello che nessuno si accorgesse delle loro malefatte e pertanto dovevano inventarsi ogni volta sotterfugi e strategie varie. Eravamo ai tempi del boom economico ed in Italia di denaro ne circolava tanto.
Cosa faceva il nostro politico corrotto di riferimento, che in seguito chiameremo solo politico, per “foraggiare” i propri parenti senza che nessuno se ne accorgesse?
Faceva organizzare delle manifestazioni e metteva a disposizione del denaro pubblico per accontentare la pletora di questuanti di cui si circondava ed a cui aveva chiesto ed ottenuto i voti. Con alcuni di essi la distribuzioni dei pani e dei pesci la poteva fare alla luce del sole. Non esteva, infatti, alcun conflitto di interessi nel finanziare un amico teatrante portatore di voti.
Per altri, i parenti, la cosa era un più difficile. Per aggirare l’ostacolo il nostro politico faceva finta di ordinare un lavoro, uno scritto, del materiale pubblicitario o uno spettacolo ad un soggetto terzo consenziente e questo doveva passare lavoro e compenso al parente del politico.
In questo modo il politico si illudeva di poterla fare sempre franca fregando cosí gli ignari cittadini…invece si sbagliava.
Per spiegare meglio il metodo facciamo finta che quello del nostro politico fosse un parente che gestiva un’agenzia pubblicitaria. Egli affidava fittiziamente il servizio ad un’altra agenzia di un Comune lontano, che poi avrebbe usufruito di altri favori, con l’accordo segreto che avrebbe lasciato lavoro e compenso al suo parente.
In questo modo nessuno si sarebbe mai accorto del “foraggiamento” fatto al parente. Si sa però che il diavolo fa le pentole ma poi dimentica i coperchi perchè l’errore è sempre dietro l’angolo specie poi se politico e parente quel poco di intelligenza a loro disposizione la sprecano tutta in stupida furbizia un pò come quell’oste avido e stupido che mischia il vino con l’acqua pensando che nessuno se ne accorga.
Volete sapere come la furbata venne scoperta? Nella maniera più banale di questo mondo. Il materiale di propaganda fu fatto stampare dal parente del politico presso una tipografia dello stesso loro paese natale. Soltanto che, per quella stupidaggine di cui parlavamo prima, la parente non contenta dei soldi voleva anche l’onore e firmò con il proprio “marchio” il materiale propagandistico che avrebbe dovuto invece essere firmato dalla società a cui era stato affidato l’incarico.
Oltretutto ad incastrare il politico vi fu il fatto che alla tipografia la fattura del materiale stampato dal parente fu pagato dalla società a cui era stato affidato fittiziamente l’incarico nonostante il parente avesse firmato il materiale come opera propria.
Era una partita di giro: io do i soldi a te e tu li giri al mio parente che farà il lavoro e prenderá i soldi che non posso assegnargli direttamente. Però ti intesti la fattura della stampa e mi porti quindi la pezza giustificativa che i soldi sono stati spesi da te. Così il conflitto di interessi era aggirato ma qualcuno, proprio, grazie a quella firma del parente sul materiale scoprí l’inganno e lo denunciò.
Durante la prima Repubblica si dice che in tanti usavano di questi metodi sino a quando come raccontato in questo esempio non furono beccati e pagarono il fio. Allora la smisero pure di raccontare al popolo che tutto quello che facevano lo facevano esclusivamente per amore della propria cittàa solo e soltanto per quello.
La prima Repubblica è stata per fatti del tipo di quello raccontato cosi’ tanto demonizzata che ancor oggi, ai tempi della terza repubblica, se si vuole offendere politicamente qualcuno si continua ad usare l’apposizione di “democristiano” o “craxiano”.
A parte la stupidità di chi continua ancora a voler fare di tutte le erbe un fascio vorrei chiedere a questi stessi personaggi : “Siete veramente convinti che oggi, nella terza Repubblica, questi soggetti con le stesse strategie e la stessa mentalità siano del tutti estranei all’attuale politica?’
“C’eravamo tanto amati”. Cominciò così quel mio caro amico, a raccontarmi la sua bella storia d’amore in quel pomeriggio d’estate, seduti davanti al bar con un paio di bottiglie di birra vuote sul tavolo, ed altre due piene in arrivo.
Alla fine penso si fosse stancata pure lei o era forse cambiata o forse i suoi interessi si erano spostati altrove, avevano preso altre direzioni. Ma cominciamo dall’inizio.
Mi ritrovai alle otto e mezza di quella mattina di fine inverno ad aprire la porta “scalata” della stanza di quel Sindacato, a cui dopo poco meno di mezzo secolo ancora “appartengo”.
Quando è arrivata al grande successo, una decina di anni fa, ero già abbastanza “anziano” per poter apprezzare piume, borchie e ferramenta di vario tipo, che portava addosso e confesso, quando succedeva non la ascoltavo, la sopportavo.