Rubriche/di Piero D’Errico
Se la datazione temporale del mondo si divide in prima e dopo Cristo, la datazione temporale della mia giovinezza si divide in prima e dopo i Beatles.
Quando nel 1962 ebbe inizio il loro successo, ero ancora un ragazzino, quando nel 1970 si divisero ero “giovanotto”, ero un giovane “beat”.
Difficile spiegare cosa sono stati per noi i Beatles, di sicuro non ci riuscirò.
Non ci riuscirò perchè sono stati tutto, sono stati moda, musica, sono stati libertà, impegno politico.
Quattro ragazzi partiti da Liverpool, Paul McCartney è stato, forse per tutti, il leader del gruppo, per me invece, dall’inizio sino alla fine, è stato sempre lui, John Lennon.
L’unica scivolata fu quando John in preda a delirio di onnipotenza, pronunciò quella infelice frase che tante polemiche suscitò:
I BEATLES SONO PIU’ FAMOSI DI GESU’ CRISTO.
Per quella frase fu costretto a scusarsi poco tempo dopo.
Per quella frase ci rimasi male, molto male, da lui non me lo sarei mai aspettato.
Passavo più tempo in Chiesa che a casa, servivo messa, giocavo a ping pong ed ero un “attore”, una quasi promessa, nelle recite che si preparavano in parrocchia.
Il 1970 segnò la fine del gruppo, i contrasti erano diventati sempre più frequenti. John si era unito a Yoko Ono sentimentalmente e professionalmente.
L’ultimo loro improvvisato concerto lo tennero sul tetto del palazzo dove aveva sede la loro casa discografica.
Poi più nulla.
Ognuno continuò a cantare per conto suo, ricordo alcuni brani di Paul McCartney e di George Harrison ma fu sempre John Lennon a regalarci perle di rara bellezza, fu sempre lui a regalarci “imagine” una canzone immortale carica di un messaggio potentissimo.
Una sera di dicembre del 1980 John fu colpito da quattro proiettili sparati da uno squilibrato davanti alla sua casa di New York.
Dicevo che, la notizia del loro scioglimento attraversò il pianeta lasciandoci tutti increduli e da quel giorno in poi il mondo non fu più lo stesso, al mondo mancò sempre qualcosa.
Quella notizia me l’aspettavo, ma non ero pronto o forse non lo sarei mai stato, non mi crollò un mito, mi crollò il mondo.
Ci volle tempo per convincermi, pensavo che un giorno o l’altro si sarebbero riappacificati, riuniti. Non fu così.
Sono stati un fenomeno culturale, hanno cambiato la musica e il mondo.
Hanno suscitato emozioni, associato le canzoni alla vita, ad un mondo giovanile in fermento.
Londra, “la Londra beat”, era diventata all’improvviso il centro del mondo.
Ad ogni loro concerto accorrevano migliaia di fans per applaudire, per urlare, per cantare, per emozionarsi, per piangere.
Essere “beat” voleva dire essere all’ultima moda, essere moderni, trasgressivi, vestire jeans e colori e soprattutto avere i capelli lunghi. Insomma essere un “capellone”.
Ben presto divennero un simbolo anticonformista, un simbolo di rottura, un simbolo di protesta, non vi racconto le litigate in famiglia per via dei capelli lunghi che i nostri genitori facevano fatica ad accettare.
Avevo “neanche 20 anni”, andavamo in giro a far baldoria, ballare, stonare le loro canzoni.
Siamo rimasti in attesa per anni, per più di mezzo secolo, e quando ormai avevamo perduto ogni speranza, eccoli di nuovo, sono tornati.
Sono tornati musicalmente insieme, le loro voci e la loro musica sono ancora una volta, forse per l’ultima loro canzone, insieme.
Sono finalmente tornati, sono tornati per dare il senso del loro addio alla musica, sono tornati per ringraziarci dell’affetto che la loro assenza non ha cambiato.
Correva l’anno 1994 quando Yoko Ono consegnava ai Beatles la demo di un pezzo inedito registrato nel 1977 da John Lennon.
John cantava e suonava il piano ma con le tecniche di allora non era possibile separare la voce dal suono che si sovrapponeva sino a coprirla.
Con l’aiuto dell’ intelligenza artificiale dei giorni nostri, la voce di John è stata ripulita, è stata inserita la traccia della chitarra che George Harrison, morto anche lui nel 2001, aveva elaborato per quella canzone nell’ anno1995.
Il resto lo hanno fatto quelli che del gruppo sono rimasti Ringo Star, Paul McCartney e il meraviglioso suono degli archi.
Hanno inciso un nuovo brano NOW AND THEN, una canzone che pur dopo tanti anni avrei riconosciuto tra mille, la loro musica, la loro melodia, il loro ritmo
La chitarra di George e poi le voci di John, Ringo e Paul in una armonia che soffia come un alito di vento su di noi riportandoci indietro, nella perduta giovinezza.
E’ l’ultima inaspettata canzone. Ci basta.
E mentre ininterrottamente continuo ad ascoltare il nuovo brano in un misto di gioia e nostalgia, mi scivola davanti un mondo con tutti i suoi ricordi mentre qualcosa mi si stringe in gola e i ricordi cominciano a far male.
Ditemi che stasera si scappa via, si va in giro, si va da qualche parte, si va lontano, oltre la musica, oltre i ricordi, al di là della nostalgia che ti dà una canzone, che ti dà un’immagine che mi vede in lontananza, jeans e poullover colorato, qualche collana che scende sul poullover e poi quei capelli lunghi agitati dal vento.
In quell’immagine lontana mezzo secolo fa, vedo un ragazzo con i libri sotto il braccio, con tanta voglia di libertà, allegro e spensierato.
In quell’immagine mi guardo com’ero, com’ero a quasi 20 anni.
Anni di straordinaria bellezza, tutto cambiava insieme a noi e intorno a noi, sono stati i migliori anni della mia vita, gli anni in cui sono stato:
L’ ULTIMA VOLTA GIOVANE.