Rubriche/di Piero D’Errico
Mi sveglio a fatica intorno alle sette e mezza e ogni volta con il pensiero fisso che sarei rimasto volentieri a letto qualche mezz’ora in più.
Con un po’ di sacrificio incomincio la giornata.
Mi accorgo ad un tratto che si fa tardi, che si sta facendo tardi.
C’è il passaggio, potrei dire obbligato, dal bar, colazione, chiacchiera, giornale e poi via, ci sono mille cose da fare, mille cose da organizzare.
Sono sempre in ritardo, forse non riuscirò a fare tutto, forse farò tardi a pranzare e poi a cascata al bar per un’altro caffè.
Nel bel mezzo del mio da fare, una telefonata per avvertirmi che manca qualcosa, che devo ricordarmi di comprare qualcosa e allora cambio programma, mi fermo a comprare ciò che manca anche di non essenziale. E poi tre giri per trovare parcheggio e poi riuscire a parcheggiare tra il suono di clacson di un traffico impazzito che protesta per quei pochi secondi che impiego a parcheggiare.
E poi a catena gli impegni lavorativi, fare propri tanti problemi.
Poi si torna a casa che è già sera.
Proprio stasera c’è un compleanno da festeggiare, ci sarà da brindare, fare gli auguri, fare un regalo, un regalo che sarà sicuramente gradito o almeno così ci diranno.
Poi s’è fatto tardi, si torna a casa.
Accendo la TV, c’è la guerra e di quelli che sono stati i miei problemi me ne vergogno un po’, mi sento piccolo maledettamente piccolo ed i miei problemi stupidi e idioti si perdono nelle cattive notizie che speravo di non sentire.
Mi chiedo: “Che problema c’è a pagare la rata che scade con i soldi contati. E’ questo un problema?”.
E mi aggiungo a quel popolo che assiste come in un reality show l’ annullamento di un popolo e come in un film, mi aggiungo ad assistere a gente che scappa, a bombe che cadono, bimbi che piangono.
Mariti che accompagnano la moglie ed i figli al confine per metterli in salvo e poi tornano a combattere, a volte torna anche la moglie. Tornano a combattere nella consapevolezza che quella volta potrebbe essere l ‘ultima volta insieme.
E nel salutarsi si stringono tutti in un interminabile abbraccio, si dicono : “Ti voglio bene, ci vediamo presto.”
E poi di corsa, per tornare a combattere una guerra che possono soltanto perdere.
Dio salvi un popolo che sta insegnando al mondo cos’è la dignità, il coraggio, che sta insegnando al mondo come si difende la libertà.
E noi sempre lì davanti alla TV, a vedere come nei film vittime innocenti, bambini con occhi impauriti e smarriti.
Ed è per loro che si combatte soprattutto per loro, per il loro domani libero.
C’è chi aveva una casa e non ce l’ha più, chi aveva una famiglia e non ce l’ha più, chi aveva un lavoro e non ce l’ha più.
La guerra porta via tutto, travolge tutto.
E ancora noi come affacciati alla finestra, di fronte a tanta atrocità e al coraggio di un popolo che affronta una guerra già persa, di fronte a un popolo che non si arrende e piuttosto che tornare indietro, preferisce morire.
E noi non abbiamo altro da fare che guardare, solo guardare la guerra, restando sordi ad ogni richiesta di aiuto.
Magari ci perdiamo in manifestazioni per la pace che ben si guardano dall’essere anche a favore dell’Ucraina.
Nessuno può intervenire secondo le regole scritte, a difendere un aggredito che non è allineanto nei blocchi pre-costituiti.
Obbligati ad assistere fermi immobili allo sterminio di un popolo meraviglioso, alle scene finali di come si rade al suolo uno Stato.
Un popolo che ha risvegliato in noi un sentimento che pensavamo di avere perso per strada “la bellezza di dare la vita per il proprio Paese”.
Sarebbe come non morire mai.
Davanti a tragedie umanitarie così grandi, così crudeli che hanno sullo sfondo la faccia gelida e priva di sentimento di un folle che avresti voglia di prendere a schiaffi, sono sicuro saremmo tutti pronti a combattere a fianco del popolo ucraino, e tutti siamo strapieni di rabbia.
Saremmo pronti a combattere e forse sarebbe la scelta giusta o forse una guerra giusta, una guerra di libertà combattuta a fianco di fratelli buoni e mai minacciosi, a cui vogliono togliere la libertà, rubare la libertà. Sin quando Putin sarà in giro, nessuno è al sicuro. Neanche il popolo russo.
Dove vogliono arrivare, quando e dove si fermerà la “ spinta canaglia” dell’ invasore, lo “spirito di conquista” non del popolo russo, verso cui abbiamo tutti profondo rispetto, ma di chi quel popolo vorrebbe rappresentare.
E noi continuiamo a raccontare la guerra come affacciati ad una finestra e noi a contare i morti, contare i morti al caldo delle nostre case dove, meno male, il gas continua ad arrivare. Si meno male. Stiamo al caldo.
Mille volte grazie al popolo polacco alla sua straordinaria dimostrazione di solidarietà, alle tante donne che hanno lasciato in fila al confine centinaia di passeggini per le madri che arrivano dall’ Ucraina con i figli in braccio, per trovare un posto dove non sentire il rumore della guerra.
La TERZA guerra mondiale prima o poi ci sarà.
Si farà per motivi stupidi o interessi, per un errore o un capriccio, per cento metri di confine in più o per una precedenza non data ad un incrocio con uno stato nemico.
Facciamola ora che abbiamo almeno motivi nobili.
Ci penserà la storia a farci eroi.