Il Sedile

Galatina/ Dario Pintaudi, un giovane arbitro di calcio galatinese, ci spiega l’emozione e le difficoltà di essere arbitro.

dario arb.Essere arbitro “non è facile”, in campo non è come essere davanti ad un televisore con moviola

di Dario Pintaudi

Mi hanno sempre chiesto cosa vuol dire essere arbitro di calcio oggi. È una gran bella domanda, ma la risposta è difficile. Uso tre parole: “Non è facile”.

Non è facile oggi. Non è stato facile ieri. Per dirla con un eufemismo: sembra facile ma non lo è. A parlare con il vocabolario in mano l’arbitro è il giudice di gara che presiede allo svolgimento di una competizione per garantire il rispetto del regolamento tecnico e delle norme federali, giudicare e punire le infrazioni e se è necessario, convalidare il risultato (DIR).Tutto ciò nel rispetto delle regole FIFA, IFAB e FIGC, e con la collaborazione degli assistenti arbitrali, in gergo guardialinee, e, a volte anche con l’ausilio del quarto uomo e degli arbitri addizionali o giudici di porta. Ho scelto, un po’ per hobby un po’ per passione, di essere arbitro di calcio ed ho scoperto un mondo in cui rinunciare ad una gara di ballo, ad un viaggio, ad un pomeriggio con gli amici, per essere sempre in perfetto orario sul terreno di gioco, non ha prezzo, come dice una nota pubblicità. Essere direttore di gara, oltre che ad avere una condotta morale irreprensibile, richiede impegno, forma fisica perfetta e prove atletiche periodiche, perché sin dalle prime categorie le partite, diversamente dal passato, sono seguite dai mass media, sono riprese e commentate ed appare chiaro come noi arbitri dobbiamo essere sempre al top, al passo coi tempi in tutto a cominciare dalle divise che dal classico nero siamo passati al color ciclamino, al giallo… Oggi sono arbitro dopo aver frequentato il corso della durata di due mesi, con lezioni bisettimanali ed esami finali presso la sezione AIA (Associazione Italiana Arbitri) di Lecce alla presenza della commissione regionale arbitrale di Bari. Ho così, finalmente, provato l’ansia di essere in campo a “comandare” 22 uomini, a volte anche molto più grandi di me. In sezione si ha modo di incontrare persone speciali, pronte a sorreggerti, a consigliarti, ad aiutarti, persone che mettono a nostra disposizione tutta la loro preparazione, la loro esperienza arbitrale a favore di noi colleghi più giovani. Hanno sempre una risposta ad ogni domanda ad ogni dubbio. È sempre interessante ascoltarli, si parla di lezioni tecniche focalizzando l’attenzione sui calci di rigore, falli, casistica supportata dalle visione di filmati; si parla di situazione vissute in campo, della collaborazione tra arbitro ed assistenti… ci si confronta, si interagisce con loro aumentando il nostro bagaglio personale tessuto sull’esperienza, quell’esperienza che si acquisisce solo col passare del tempo e con una severa autocritica dopo i tre fischi finali. Per essere giacchetta nera bisogna conoscere perfettamente, anche nei meandri, il regolamento per non trovarci poi impreparati nell’istante in cui bisogna prendere una decisione. Ed è qui che subentra un’altra dote: il coraggio, il coraggio delle decisioni immediate e poi della coerenza, della fiducia in noi stessi e nei propri mezzi che sono “frecce importanti all’arco di un arbitro”. Essere sul campo con i colleghi e con 22 giocatori, vivere in pieno ogni attimo, con l’adrenalina alle stelle, è una sensazione difficile a descriversi, diversamente da chi sta seduto in poltrona a commentare, criticare, inveire contro di noi. Questo si che è facile. Siamo sempre colpevolizzati, perché il risultato di una gara riconduce sempre alle nostre decisioni, non facili da prendere in tre decimi di secondo, a parte le pesanti insinuazioni e gli appellativi che tanti conoscono. Questo però non ci sconvolge e non servono a screditare la nostra immagine e la categoria. È un mondo che consiglio ai giovani ed anche alle ragazze perché ci stiamo arricchendo della loro presenza. In AIA Lecce sono già tanti i Fischietti rosa, ragazze che nonostante le dure leggi del calcio operano con correttezza e preparazione al nostro pari. Per chi inizia ad arbitrare a quindici anni, ha la possibilità di giungere a dirigere le partite di serie A, ma serve tanta gavetta, tanto impegno, tanta responsabilità per giungere al massimo livello.

Chi vuol essere dei nostri, faccia un fischio.

 

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