Il Sedile

Il 23 maggio non deve essere solo il ricordo di una luttuosa ricorrenza ma lo sprone a non abbassare la guardia nella lotta contro la mafia.

“Occorre sollecitare la società, investire nella cultura e coinvolgere la scuola teatro dell’educazione dei giovani alla legalità”.

Rubriche/Opinioni/di Luigi Mangia

Il 23 maggio per l’Italia non deve essere il giorno della ricorrenza della strage di mafia di Capaci in cui furono uccisi il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morbillo, perché è il capitolo di storia della deviazione dei servizi segreti che hanno ostacolato la verità e quindi la giustizia, sia ai famigliari sia alle nuove generazioni.

Fra mafia e politica c’è stata convivenza, lo dice la sentenza di condanna per mafia del Senatore Marcello Dell’Utri. La mafia interessa anche l’economia e controlla gli appalti. Ricordiamo che ci fu chi sostenne che era necessario convivere con la mafia.

Noi al contrario, sosteniamo che contro la mafia non bisogna mai ridurre la lotta ma sollecitare la società, investire la cultura, coinvolgere la scuola, il teatro dell’educazione dei giovani alla legalità. La cultura, il teatro come il cinema, sono i presidi dove conoscere la storia e dove educarsi a rifiutare l’arroganza e la prepotenza della corruzione.

Sono la strada che porta le giovani generazioni a vivere e a liberare l’Italia dalla mafia che pesa nella storia e nega la verità ai giovani. Lottare contro la mafia vuol dire, lottare per avere la verità negata; vuol dire anche onorare e difendere il sacrificio di chi ha perso la vita per aver servito lo Stato come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La loro morte ci insegna a resistere e non chinare la testa.

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