Il Sedile

Il Covid ai tempi di mia nonna.

Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Se il COVID fosse “scoppiato”quando era ancora viva mia nonna, nonna Consiglia, ed io ero ancora alle medie e frequentavo, già malvolentieri, la scuola G. PASCOLI; quando gli indimenticabili anni ’60 ci giravano intorno senza che noi ci accorgessimo della loro straordinaria bellezza e i negozi “ALIMENTARI” sulla strada principale avevano sempre bene in vista sul bancone i “golosini” …Come sarebbe stato?                                

Mi è capitato spesso di chiedermelo e spesso, mi è capitato anche come se lo stessi vivendo.                                                                                                   “Quando quella signorina dallo schermo del televisore “Philips” in bianco  e nero, comprato a rate da un negozio accanto alla pasticceria “Ascalone” scendendo verso l’Orologio, spiegava che il VIRUS era diventato, a causa di una mutazione, ancora più aggressivo, mia madre aggiunse paura a paura.                                                                                      

Vedendola impaurita per la nonna, ottantenne e sofferente, decisi di impegnarmi e dare una mano per ciò che potevo fare.                                                        

Non avevamo ancora il telefono e per la verità erano in pochi ad averlo. Dovevo pensare io a quello che le serviva, parlandolo attraverso il vetro della porta.                                                                                                   Dovevamo tenerla al riparo, proteggerla dalla possibilità di un contagio che non l’avrebbe salvata.                                                                                                   La mattina aveva sempre un po’ da fare, ma dal pomeriggio sino a “verso l’imbrunire” era lì seduta dietro i vetri  della porta di casa a guardare per strada chi passava, chi andava e chi veniva, ad osservare il mondo fuori, qualcuno che tornava a casa, qualche altro che usciva. Guardava la vita fuori, vedeva la pioggia cadere o il vento soffiare o qualche fiocco di neve scendere lentamente.                                                                                       Ed era sempre lì con l’immancabile “scialle” sulle spalle.                                                          

La luna le dava il segnale che il giorno era finito, le dava il segnale che era l’ora di andare a dormire.                                                                                                        Sarei passato tutti i pomeriggi a salutarla dai vetri della porta di casa, a chiederle di ciò che aveva bisogno.                                                                                                     Mi sarebbe bastato vederla, sapevo che anche a lei faceva piacere, qualche volta l’avrei trovata addormentata sulla sedia, ci avrebbe pensato zia Mimì a svegliarla :  “ mamma u Peru ” le diceva. Mi chiamava così.                                                                                                      Dal vetro le avrei chiesto: “come stai?”

La risposta sempre quella, la conoscevo già: “così e così” e mentre lo diceva lasciava ondeggiare lentamente la sua mano destra aperta.  

L’avrei trovata col “Rosario” in mano a pregare, affidare a Dio le sue preghiere per liberare il mondo dal VIRUS.                                                                       

Le avrei chiesto: “cosa hai mangiato? cosa hai cucinato?” e lei mi avrebbe raccontato, oppure: “oggi non ho cucinato”, ci siamo arrangiati con quel che era rimasto.                                                                                                   Mi avrebbe detto quel che mancava ed io avrei preso nota. Mi avrebbe passato da sotto la porta i soldi, forse 100 o forse 1000 lire, il “resto” avrei fatto finta di restituirglielo ma tanto sapevo già quel che mi avrebbe detto: “Tienitelo” e pure io sapevo già quel che le avrei detto: “grazie nonna”.                                                                                                   Si sarebbe un po’ lamentata per l’età, perché da mesi non vedeva più nessuno, che la sua casa di domenica sempre strapiena, tra tavoli che si univano e sedie che non bastavano, tra pasta fatta in casa e polpette  al sugo, ora era vuota, era vuota da troppe domeniche.                                                                  

Mi avrebbe detto che non aveva paura e forse avrebbe fatto il gesto come per aprire la porta, ma io no non sarei entrato, io l’avrei richiusa.                                                                               

Mi avrebbe fatto le “raccomandazioni” di sempre, di studiare, di stare attento al pericolo, insomma di fare il “bravo”.                                                                                                     Gli sarebbe mancata la Chiesa, le preghiere, quell’ incontro serale con le sue coetanee, quelle poche parole scambiate prima di prendere la strada del ritorno. La sua Chiesa, la “funzione serale” mai persa.                                   

Partiva da casa prendendo sottobraccio, anche per aiutarsi a camminare, zia Mimì, e tornava sempre a piedi felice per non aver mancato il suo quotidiano appuntamento con Dio.                                                     

Arrivava a casa un po’ stanca, ma a stancarla di più ci pensava zia Mimì, mai un secondo zitta, impegnata in ragionamenti senza logica, sempre uguali.                                                                                                   Una malattia presa da piccola le aveva lasciato la mente in disordine per sempre. Viveva con nonna, vivevano insieme.                                                  

Zia Mimì non si sarebbe mai accorta di quanto stava accadendo, la sua vita non sarebbe cambiata, sarebbe rimasta uguale, non avrebbe mai capito quanto stava accadendo intorno a lei, avrebbe continuato a lavorare ai ferri mischiando lana e colori in un arcobaleno perfetto.                                                             

E quando i fili di lana si spezzavano e la cosa succedeva spesso, era sempre pronta ad annodarli e ricominciare, ma senza mai portare a termine il lavoro. Le volevamo tutti bene e anche lei a noi, ci riconosceva tutti,  aveva tra le sue sorelle la preferita e la cosa non la teneva nascosta.                                  

Non so se sono stato io il suo nipote preferito, francamente lo spero, di sicuro ero quello che vedeva di più e mi sembrava anche felice.                           

“U Peru” così mi chiamava.                                                                                                    Sarei tornato a casa prendendo la strada principale o a volte quella più breve, mascherina in volto, pantaloncini, maglietta e sandali. Sarei passato davanti alla Chiesa, avrei trovato qualche amico di scuola e di giochi o forse no.                                                                                                   Sarei arrivato a casa, sarei salito al terzo piano di corsa, tutto d’un fiato. Avrebbe aperto la porta mia madre e prima di qualsiasi altra cosa mi avrebbe chiesto: “come sta nonna ?”.                                                                                     

Ed io le avrei risposto come sempre nonna rispondeva quando ero io a chiederglielo: “ COSI’ E COSI’ “ e nel pronunciare quelle parole avrei ondeggiato lentamente la mano destra aperta.                                                                                                    Proprio come faceva nonna.

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