Rubriche/Opinioni/di Piero D’Errico
Il giorno in cui non leggerete da questi fogli alcuna mia lettera che parli del dramma della “immigrazione”, vorrà dire che mi hanno tolto di mano tutte le penne oppure che ho anche io il diritto di non essere stupido e quindi di cambiare idea.
Scelgo di essere stupido tutta la vita ma non cambierò mai idea, non mi farò mai rubare le penne e non vorrò mai smettere di parlare di “loro” in un Paese in cui tutti parlano senza conoscere, in cui tutti parlano solo per una propaganda che comincia a puzzare di muffa.
Voglio raccontarvi lo straordinario contrasto tra quando si fugge dal proprio Paese e quanto si ama il proprio Paese.
Lo stupendo contrasto tra il fuggire, il non voler tornare più neanche a morire e l’immenso amore per il Paese da cui si scappa e di cui si conserva tutto, tradizioni, vestiti, musica, dialetti. Tutto.
Frequenteranno la loro Chiesa e intorno alla Chiesa, più volte la settimana, si riuniranno a pregare, a cantare, ballare, parlare.
La Chiesa rappresenterà il loro unico ritrovo, la festa, un motivo per truccarsi, vestirsi bene, uscire.
Una Chiesa che di loro si preoccuperà, che spesso aiuta chi resta indietro, chi ha bisogno, chi è in difficoltà, chi ha un lutto.
Una Chiesa che dà conforto e sostegno, dove tutti si sentono a casa.
Ci sono 1000 ragioni per non farne arrivare ancora tanti, 1000 altrettanti ragioni per sperare per chi è già qua, in una giusta e legale integrazione. Che li porti molto lontano dalla facile “integrazione” in contesti non legali, lontano da chi è pronto a sfruttare la sofferenza e soprattutto la fame di chi si sente rifiutato, diverso, di chi si sente figlio di un Dio minore.
Soffia nel nostro Paese un vento di “razzismo” e si sente maggiormente, si sente di più, perché il Paese cade a pezzi, vive una crisi dietro l’altra, una crisi infinita.
Da sempre sono a condividere posizioni politiche e religiose “minoritarie” ma che hanno atteggiamenti più moderati rispetto al problema e soprattutto che hanno atteggiamenti umani.
Quanti si sono persi nel MEDITERRANEO, quanti morti, quante scene di rabbia e di disperazione, quante grida di aiuto e quanta solidarietà.
Quanto dolore su un gommone che va giù, quanta gioia alle luci di una nave che li tira su’.
Quante morti in quel cimitero sull’acqua, quante croci invisibili, quante speranze annegate, quante ferite mai guarite.
Cercavano una vita che speravano fosse migliore e invece in quel tratto del MEDITERRANEO, in quel tratto di mare che attraversavano prima della salvezza, sono volati in cielo, forse tremando, forse pregando.
Può essere che quel che “oggi” scrivo sia noioso e impopolare, e forse lo è.
Mi dispiace, ma nella mia formazione politica e professionale, ho seguito e continuo a seguire la stella luminosa della solidarietà e della umanità.
Ed è una stella che spesso ti dà sofferenza,ti dà angoscia, perché non riesci a fare neanche un po’ di quel che vorresti, o quel poco che fai non basta mai.
Ma ne vale sempre la pena ed è solo una questione di cuore.
Esistono troppe differenze nel mondo, differenze di colore, differenze tra chi dà una mano e chi dà una spinta, tra chi costruisce barriere e chi considera un privilegio il fatto di poter aiutare gli altri, curare gli altri anche solo accorgendosi di loro, curare quelle ferite respirate ad ogni metro di MEDITERRANEO attraversato.
Quante storie si sono incrociate, storie di morti abbracciati, storie di bimbi annegati.
Storie tristi e felici, di vita e di morte, di corpi che il mare non restituirà mai, di corpi che terrà sempre con sé.
Quasi a proteggere, quasi a consolare.
E almeno lì tra le braccia del MEDITERRANEO, saranno al sicuro, tra le onde calme e pietose del MEDITERRANEO, saranno in pace.
Almeno lì, nessuno li potrà mai odiare.