Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Una bravissima ragazza, padre pensionato, madre casalinga, aveva lavorato solo da ragazza come “tabacchina”.
I loro sacrifici e le loro rinunce, fecero si che la figlia si laureasse a pieni voti nell’università più vicina al suo paese.
Quella laurea fu festeggiata con una festa a cui parteciparono i vicini e i parenti, lei mostrò tutte le foto della laurea e tutta la sera parlò dell’esperienza universitaria, dei progetti e degli sbocchi occupazionali, delle sue ambizioni e aspettative.
Fu tutta sorrisi e complimenti quella sera e fu così per tutti ma di più per lei.
Il padre, tutta la vita in campagna, aveva per l’occasione messo un vestito scuro, vecchio taglio, camicia bianca, cravatta e scarpe lucide, di vernice.
La mamma aveva tirato fuori da qualche cassetto, un abito che le stava un po’ stretto ma lei si sentiva ugualmente elegante, molto elegante.
La festa finì e i giorni che seguirono furono tutti un riassunto dei momenti più belli, dei momenti più felici.
Passarono giorni e mesi, ma il lavoro quella ragazza non riusciva a trovarlo.
Era brava, volenterosa, eppure faceva fatica anche a fissare un colloquio.
La incontrai alle sette di mattina che saliva sulla punto bianca del padre.
E poi alla stessa ora il giorno dopo e poi ancora.
Quando finalmente le chiesi dove mai il papà la accompagnava ogni mattina allo stesso orario preciso, seppi che la accompagnava presso un’azienda non molto distante dove era stata assunta per sei mesi con GARANZIA GIOVANI.
Era felice, considerava quel lavoro, una occasione, forse quell’occasione che le avrebbe cambiato la vita.
Per sei mesi ed ogni settimana per sei giorni, uscì di casa insieme a suo padre, alle sette e poi il padre tornava a riprenderla alle dodici e trenta. Lei però non smise mai di lavorare prima delle tredici e anche dopo.
Non lasciò mai un lavoro a metà e diede sempre la sua piena disponibilità in ogni momento, si dimostrò così come era, altruista e generosa, dimostrò sempre che ci teneva al lavoro e a fare bene il suo lavoro.
Riceveva dall’azienda 150,00 euro al mese, il resto, 300,00 euro, sarebbe arrivato dopo dalla Regione, senza una data precisa.
Ma a lei e suo padre, che faceva su e giù, poco importava, era un’occasione, una opportunità, e lei pensava solo a farsi apprezzare, farsi voler bene, fare più di quel che doveva fare e soprattutto far capire che continuare a lavorare in quel posto l’avrebbe resa felice.
Lavorò per sei mesi senza perdere un giorno, senza mai un ritardo e sempre con lo stesso entusiasmo, la stessa volontà, la stessa umiltà.
Nel mentre contava i giorni che la dividevano dalla fine del contratto, sperava che qualcuno della “proprietà” le dicesse qualcosa, le facesse un cenno, le dicesse una parola.
Quella “parola” non arrivò mai.
Salutò affettuosamente tutti e sin quando varcò la soglia, fu sfiorata sempre da un’ultima speranza, quella di poter avere una sia pur “precaria” offerta.
Le fu difficile sradicarsi da quel contesto lavorativo che con tanta passione aveva abbracciato dando insieme passione e volontà, ma quella storia le fu da insegnamento, la maturò, la incattivì.
Erano passati quattro mesi, forse aveva perso anche la speranza quando le arrivò il saldo per il lavoro svolto.
Era aprile se ben ricordo, l’indomani sarebbe partita per un lavoro “fuori”, non ricordo dove o forse non l’ ho mai saputo.
- Sai una cosa ? – avrei voluto dirle.
- Non te ne vorrò se, né ora né mai, proverai un minimo senso di gratitudine per la mia e le altre generazioni che hanno preparato “il tuo domani” – .