Eventi/di Graziano Aloisi e Anna Pasanisi

Sub tutela Dei, sotto lo sguardo di Dio. Potremmo cominciare così a raccontare quanto vissuto la sera del 18 giugno appena trascorso, en plein air, nel giardino del vescovo, spazio architettonico meraviglioso facente parte del più noto Santuario della Grottella, in Copertino, luogo di santità, luogo guardato da Dio.

En plein air, come per i pittori impressionisti, abbiamo desiderato dipingere, ritraendolo dal vero, la vita del Giudice ragazzino, Rosario Livatino, la sua professionalità, i suoi principi etici, la sua levatura spirituale, fino al martirio.

Alle ore 20:15, come da programma, ospitati dai frati minori Conventuali e all’ombra della santità di San Giuseppe da Copertino, il santo dei voli, abbiamo appreso quanto attuale sia stata l’esperienza umana, pur breve, di questo giudice e martire della fede, anche lui innamorato del cielo, rivestito di cielo, beatificato il 9 maggio 2021.

L’evento chiudeva il percorso annuale del progetto diocesano di Azione Cattolica “In…chiostri spirituali”, pensato quale strumento di coinvolgimento in percorsi di maturazione di fede e di accrescimento culturale. Dalle pagine del libro di Ida Abate, “Il Piccolo Giudice. Fede e giustizia in Rosario Livatino” è emersa in tutta la sua chiarezza, la bontà d’animo e l’impegno concreto di Livatino. Siamo stati aiutati a ricostruire il suo percorso umano, professionale e di fede da due ospiti illustri, il dott. Salvatore Cosentino, magistrato e autore teatrale e don Salvatore Miscio, assistente regionale del Settore Giovani di Ac e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, per la Puglia.

Ai saluti, ai ringraziamenti iniziali e a un breve cameo – video sulla vita del beato Livatino, ha fatto seguito l’intervento del dott. Cosentino sull’eredità professionale e umana di Rosario. “Chi è Salvatore Cosentino? E chi è Rosario Livatino per lei dott. Cosentino?” ha chiesto la moderatrice Anna Pasanisi. E la risposta è stata un appassionato monologo che ha messo insieme la storia del Giudice ragazzino con l’identità e il ruolo del magistrato oggi. Così l’umiltà e la professionalità, la cultura e la carità di Livatino si sono riflesse nella natura del diritto, ovvero nell’essere a servizio dell’uomo, proprio a partire dal momento in cui questo sbaglia, compie un errore. E come Livatino il giudice è chiamato ad essere un operatore sociale, che deve conoscere, incuriosirsi, fare ricerca con l’obiettivo di far emergere la sua ontologica natura umanista e non un Azzeccagarbugli, di manzoniana memoria. È un monologo coinvolgente quello del dott. Cosentino che non tralascia di offrire provocazioni e di contro chiare esplicitazioni sulla natura del diritto e sull’esercizio di una professione che interseca le discipline giuridiche con l’antropologia, perché in fondo le persone sono sempre più del diritto e le sentenze sono un vero e proprio documento antropologico. Allora qual è l’eredità professionale di Rosario Livatino? Certamente la lettura del libro ha messo in evidenza la necessità di dare alla Legge un’anima, e la consapevolezza che per risolvere casi umani è necessario avere idee (…), guardare l’errore, il delitto, con l’aiuto di una luce che faccia uscire dai monolocali del pregiudizio e faccia ricentrare ogni attività giuridica del magistrato nell’alveo del servizio all’uomo e alla società.

È stata quindi la volta di don Salvatore Miscio illustrare quale eredità spirituale ha lasciato questo giudice cristiano, uomo di fede, speranza e carità che ha celebrato, fino al martirio la liturgia della Giustizia, una liturgia fatta di gesti e parole coraggiose, di scelte e decisioni forti contro l’illegalità ma anche, e soprattutto, di gesti e parole misericordiose verso chi ha peccato. È un credente che si esprime nella sapienza giuridica alla luce della legge dell’amore e sente il rendere giustizia come preghiera che impegna a comprendere l’uomo. È l’incipit di una duplice e compenetrante professione, quella di magistrato e quella di credente, l’una mai separata dall’altra. E dalla riflessione di don Salvatore emerge la figura di un magistrato che giudica con amore, che vive la sua totale dedizione all’uomo, alla società, che vive ogni momento sotto la sguardo di Dio, come amava scrivere nella pagina iniziale delle sue agende: S.T.D., Sub tutela Dei. Si comprende bene, in questo “piccolo” magistrato, cosa sia la santità del quotidiano tanto cara al nostro papa Francesco. Santità nei luoghi di lavoro, nell’esercizio della propria professione, nello svolgimento del delicato compito di dover giudicare, emanare sentenze, coniugando la fede con il diritto: Fede che quello che stava facendo e quello che stava vivendo come magistrato era un processo più grande di lui (…), che quello che compie un magistrato è solo una piccola parte del grande processo di verità che porta una vita a chiarirsi, a maturare.

Tra domande dei moderatori e interventi altrettanto preziosi dei convenuti, la serata si è protratta per più di un’ora e mezza. Poi, quasi un segno dal cielo, la freschezza portata dal vento di una serata di giugno ha spazzato via le domande e le riflessioni di tutti. E forse, congedandoci, un po’ tutti abbiamo percepito, in quella stessa freschezza, in quel vento leggero, il soffio di cose nuove, di cose che sanno di cielo.