Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Conoscevo la guerra, quella raccontata da mio padre e da mia nonna.

Ore ed ore passate ad ascoltare un po’ incuriosito e un po’ impaurito,         il racconto di un pezzo di vita passato tra il rumore di spari e di bombe.

Conoscevo il rumore delle sirene che davano l’allarme, per averlo già sentito nei film di guerra e oggi a risentirlo mi fa venire i brividi.

Ed ora che di nuovo si sente il suono delle sirene ed il rumore dei carri armati a pochi passi da noi, mi tornano in mente tutti quei racconti che si ripetono e si susseguono e questa volta siamo in Ucraina.

Sarà la sproporzione in campo di mezzi, strumenti e uomini, sarà l’emozione che mi dà sentire le parole del Presidente dello stato aggredito: “forse è l’ultima volta che mi vedete vivo” o anche: “non ho bisogno di un “passaggio” per mettermi in salvo, ho bisogno di armi”.

Zelensky, il presidente dell’Ucraina, parla collegato da un bunker con i paesi amici, impegnato in una guerra impossibile suona la carica, solleva gli animi e l’orgoglio di un popolo vilmente aggredito.

E sullo sfondo, si cominciano a formare nitide immagini di gesta eroiche come l’eroico ingegnere che si fa esplodere per far saltare un ponte e non consentire il passaggio di carri armati russi a Kiev.

Come i martiri dell’ Isola dei Serpenti che non hanno voluto arrendersi e per questo sono stati polverizzati.

E poi c’è l’immagine di un ragazzo e una ragazza che si sposano e poi subito dopo abbracciano il kalashnikov e vanno ad arruolarsi.

Sentir dire da un appena trentenne: preferiamo morire piuttosto che passare sotto il controllo della Russia.

C’è poi l’immagine di un ucraino, che cerca di bloccare con il suo corpo,  un convoglio di blindati russi armato soltanto del suo coraggio.

Una scena che avevamo già visto nella piazza di Tienanmen e che speravamo di non vedere mai più.

E poi gente stipata nei sotterranei della metro e profughi alle frontiere.

Che effetto fa aggredire un popolo, che piacere dà sentirsi odiato dal mondo e come si fa a spiegare una guerra, con quali parole si spiega.

E una domanda resterà senza risposta: a chi fa paura la libertà di una nazione ?.

“Dopo la notte c’è l’alba”, e questo dobbiamo sperare, che la notte sia breve e l’alba così luminosa da accecarci a guardarla.

Sono convinto che l’Ucraina sia la parte giusta, che l’Ucraina  sia dalla parte giusta della storia, Kiev sarà la mia prossima meta, quando si potrà fare e comunque vada a finire.

Nel frattempo spero solo che quando questa lettera sarà pubblicata, Kiev resista ancora all’aggressione, che non siano queste le ultime ore di Kiev.

E poi m’arriva all’improvviso il ricordo che mi ha lasciato il covid, quella “patologia emotiva” che nel racconto di una guerra mi si strozza in gola. 

E allora mi fermo. Si mi fermo qui, davanti al giallo e all’azzurro di una bandiera che sventola ancora.