Se la fortuna è cieca la sfortuna è un’aquila…proprio nella vicina di casa dovevo imbattermi?
Rubriche/PensieriParole/ di Piero D’Errico
Galatina – Fu nel tratto di strada che andava dalla stazione alla villa che incontrai lo sguardo minaccioso di quella vicina di casa che non si faceva mai i fatti suoi.
Quel tratto che stavamo cercando di fare in fretta proprio per paura che qualcuno ci potesse vedere e riferire.
Era un orario insolito per la scuola, né di entrata, né di uscita, quell’orario in cui quando incontri qualcuno con lo zaino o come ai miei tempi, con i libri sotto il braccio, ti viene il dubbio che abbia “marinato” la scuola o anche che sia uscito prima.
Era “tradizione” sempre ai miei tempi, quando si decideva di non andare a scuola, passare dalla “stazione” e da lì partire per passare la mattinata lungo i binari tra qualche frutto di stagione raccolto qua e là e qualche visita in qualche “casello” abbandonato.
Era proprio quello che avevamo fatto quella mattina di primavera, avevamo passato una bellissima giornata in libertà, lontani dalla scuola e dalla scomodità di quei banchi, lontani dallo sguardo severo del “prof” e dalla paura per una interrogazione a cui non eravamo pronti.
Quando arrivai a casa, mia madre sapeva già tutto, ogni mia spiegazione fu vana, ogni mia giustificazione inascoltata.
La mattina successiva ebbe conferma delle mie bugie e della mia assenza dal Preside della scuola.
Furono giorni terribili, con la fiducia che ormai avevo “irrimediabilmente” perso e che trasformava in bugia ogni mia sacrosanta verità. Tra me e mia madre poche parole, solo le parole essenziali e troppi i rimproveri per quell’assenza scolastica che aveva scoperto ai miei genitori, un mondo, cresciuto intorno a me, che non conoscevano.
Ma tu vai a capire la sfortuna che a volte ti prende, quando a mezzogiorno in punto, dopo una giornata di divertimento passata troppo in fretta, quel solo passante che passa lo conosci e ti riconosce anche lui.
Passarono alcuni giorni, la mattina mi alzavo volentieri, a scuola arrivavo in anticipo e appena finito di mangiare mi buttavo sui libri e quaderni sino a sera. Volevo farmi perdonare.
” Sei ancora lontana ?” chiesi e mia madre quando proprio non ce la feci più.
E lei che non se la passava meglio : “Mi hai dato una grande delusione. Non farlo mai, mai, mai più” . “OK” risposi io.
Mentivo, ma in quel momento non lo sapevo, in quel momento ero sincero.
Appena dimenticata quella storia, furono tante le volte che attraversammo in lungo e in largo la ferrovia e tutte le stradine e i viottoli che le giravano intorno, dentro un paesaggio che a pensarlo ora lascia senza respiro.
Qualche anno dopo, quando lei ormai non c’era più, capii quello che aveva provato, capii la sua delusione e capii il grande sbaglio di noi genitori nell’essere certi che mai i nostri figli possano deluderci, possano darci delle delusioni.
Forse non saremo mai preparati, forse non saremo mai pronti.