Il Sedile

La sindrome del “Come t’invidio”

Il peccato capitale dell’invidia nelle incisoni sulle architravi delle finestre dei palazzi antichi di Galatina

invidus 2Cronaca/ di Rosanna Verter

… Fu il sangue mio d’invidia sì riarso,

che se veduto avesse uomo farsi lieto,

visto che m’avresti di livore sparso…

Così tuonava Dante nel XIV canto del Purgatorio (vv. 82-84), stigmatizzando il peccato solitario dell’invidia. Invidia non è gelosia. Possono sembrare sentimenti uguali ma non lo sono, anche se attuano delle emozioni affini. Proviamo a cercare sul vocabolario le due parole.

Il termine invidia, dal latino invidus da invidere, cioè vedere con odio, (l’occhio ha nell’invidioso un ruolo importante), è uno stato di scontentezza derivante dal non poter ottenere per sé ciò che gli altri hanno, e si ambisce o si desidera. E’ spesso implicato il desiderio di togliere agli altri ciò che li privilegia, o di nuocere loro in qualche maniera, così da diminuire il loro successo umiliante. (UTET)

La gelosia, dal latino zelous, invece è uno stato di tormentosa ansietà e di intimo rovello, che affligge chi teme che l’affetto della persona amata gli sia sottratto da un rivale o di vedersi posposto ad altri nell’affetto, nella stima, nella considerazione… (Battaglia) anche se, secondo Freud, il sentimento della gelosia non è rivolto solo alla persona che si teme di perdere, ma ad una terza persona, quella verso cui prova una rivalità. Naturalmente è possibile essere sia invidiosi che gelosi, emozioni che nella realtà convivono insieme. Sono stati d’animo certamente negativi che hanno alla base una insicurezza, un senso d’inferiorità, una mancanza di autostima. Riconoscere di essere invidiosi o gelosi dà sicurezza e forza perché nel nostro io cerchiamo di distruggere ciò che non si può avere.

L’invidia, per dirla alla Oscar Wilde, nasce nell’istante in cui ci si assume la consapevolezza di essere dei falliti; cova nell’animo lentamente e la persona che ne è affetta si rode da ciò che un’altra ha, osserva la sua vita in modo ossessivo per carpirne i segreti e poterla emulare, non riuscendovi. Ed è qui che scatta il meccanismo della violenza aperta, esplode l’ira più funesta perché giunge a capire, secondo la sua irrazionalità, la sua pochezza, che l’Altra non merita ciò che ha conquistato con la stima, la fiducia, la coerenza. Dure conquiste e non doni. Basta guardarsi attorno e si individua subito la persona invidiosa: è quella che non sa ridere, chiusa nel suo egocentrismo, non dialoga se non per interesse, per tornaconto personale, non conosce spontaneità del vivere quotidiano, il suo viso è sempre imbronciato, il colorito spento, le labbra tirate nella speranza di nascondere il suo ribollire interiore, un ghigno stampato in faccia che esprime chiaramente, senza traduzione, disprezzo e desiderio di vendetta. Che puntualmente esplode non solo verso l’oggetto della sua invidia ma anche contro il mondo intero.

Ciò si manifesta in tanti modi, con la calunnia, la maldicenza, le accuse infondate, e nei casi gravi con la violenza fisica si cerca di distruggere l’oggetto del “desiderio”. La persona invidiosa appartiene a tutti gli strati sociali, può essere colta e non, può essere ricca e non, può avere successo e non, ma ciò che si arrovella dentro di lei non dà pace e vuole solo una cosa: distruggere la persona invidiata. Lo prova con naturalezza perché pensa che sia la logica conclusione di un sentimento che scotta.

Ecco non è l’odio il contrario dell’amore ma l’invidia, questo perché l’invidioso non sa amare chiuso nel suo logoramento, chiuso nel male che ha dentro. E’ una vera e propria malattia che non perdona. Da curare. Non a caso è tra i sette vizi capitali, proprio perché sono i più gravi. Purtroppo a malincuore devo ammettere che questa negatività è prettamente femminile, fa parte della nostra povertà, della nostra cultura. E’ raro sentire un uomo che dice di essere invidioso, mentre noi donne nel dire: “come ti invidio” stiamo confermando il nostro essere sfortunate, il nostro sentirci vittime autocommiserandoci.

Tutto questo ben lo sapevano i nostri avi che da saggi hanno inserito sulle architravi delle finestre dei loro palazzi delle iscrizioni come: INVIDIUS SEMPER MACRESCIT ossia “L’invidioso si strugge sempre più” e la possiamo leggere al civico 33 di Via Scalfo, mentre in forma più completa al civico 5 di via Umberto I leggiamo il motto oraziano:INVIDIUS MACRESCIT A(lt)ERIU(s) (rebus opti)MIS che traduce con “L’invidioso si strugge per i successi altrui”.

Mentre in Piazzetta della Libertà l’iscrizione riprende ancora Orazio con: INVIDIUS MINOR EST che credo non abbia bisogno di traduzione. Herman Melville nel suo romanzo “Billy Budd”, pubblicato postumo, scrive: “L’invidia risiede nel cuore, non nel cervello, non c’è grado di intelligenza che offra garanzie contro l’invidia”.

Cosa posso rispondere se non “Come lo invidio”.

 

 

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