“Ero diventato ragioniere, come Fantozzi”.
Galatina – Era dolce e severa, sorridente ed arrabbiata, era anche molto brava ma soprattutto era bella. Capelli lunghi, gonna corta e maglietta aderente.
Insomma al doposcuola ci andavo volentieri ed era anche a pochi passi da casa mia.
Arrivavo all’incrocio e svoltavo a destra, primo portoncino, primo piano.
Ed io ero alle prime difficoltà con la scuola: i numeri, ed alle prime difficoltà con la vita: avrei voluto avere la sua età, non essere ancora un bambino. Mi faceva i complimenti quando qualcosa mi veniva bene, mi vergognavo da piangere quando mi apostrofava con qualche parola che faceva venire in mente l’ asino.
C’era in me un sentimento di ammirazione verso quella maestra del doposcuola, per come si comportava, per come era e soprattutto per la sua bellezza.
Insomma l’emozione dell’amore non era ancora definita per via dei miei 11/ 12 anni ma provavo un senso profondo d’affetto e di stima, quella stima e quell’affetto che mi facevano impegnare, mi facevano studiare, mi facevano imparare.
Era il piacere di sentirsi dire un “bravo” o sentire una parola che somigliasse a un complimento. Insomma furono anni di studio, di apprendimento, di crescita.
Ma anche lei cresceva, il giorno che si sposò ero in prima fila in Chiesa e fui il primo a lanciarle un pacco di riso all’uscita.
Cambiò casa e paese, ed io al primo o secondo anno delle medie, cominciai ad abituarmi a fare i compiti a casa da solo.
La volontà l’avevo conservata tutta, solo che la finestra di fronte al tavolo di cucina su cui studiavo, guardava in strada ed io appena vedevo passare qualche amico, con il pallone o anche senza, chiudevo libri e quaderni e rimandavo tutto ad un “dopo” che non arrivava mai.
Dimenticavo di dire che lo stesso succedeva quando vedevo passare quella mia amica, quella mia coetanea che abitava di fronte.
Cercai sempre, forse senza riuscire, di farle capire che se ci incontravamo spesso o quasi sempre, era solo una combinazione, una bella combinazione o forse come qualche tempo dopo le spiegai era soltanto “lo strano gioco del destino” che da lì a breve l’avrebbe fatta diventare il mio “amorino”.
Lei non se ne accorse mai.
Il mio andamento scolastico, cominciò a peggiorare e mia madre che l’aveva capito da un po’, aveva già contattato una nuova maestra per il doposcuola.
La casa della nuova maestra era più lontana ed io andavo e tornavo sempre a piedi e sempre controvoglia. Tante cose riuscii a impararle bene, tante benissimo, tante non riuscii a impararle mai.
Ma non mi fermai, non abbandonai gli studi, gli esami di riparazione di settembre mi aiutavano a non perdere l’anno.
Eravamo agli inizi degli anni ’70, era luglio, erano i tempi del mitico Ragionier Fantozzi, con 20 lire compravamo una nazionale ed una esportazione ed io finalmente al secondo tentativo consecutivo avevo conseguito quel “pezzo di carta” che faceva tanto felici i miei genitori.
Quel pezzo di carta che mi consentiva di far precedere il mio nome e cognome dal titolo: ragioniere.
Ero diventato ragioniere, come Fantozzi.