Era Il 10 marzo 1946 quando le donne italiane si recarono per la prima a votare.
Il battesimo politico delle donne in realtà si ebbe con la loro partecipazione alla Consulta Nazionale. Quest’ultima fu istituita il 5 Aprile 1945, rimase attiva dal 25 settembre 1945 al 1 giugno 1946 vigilia delle elezioni e dava pareri sui problemi generali del governo e su questioni di bilancio ed elettorali. La partecipazione delle donne, 13 in tutto, avvenne per designazione dei partiti politici: la Democrazia Cristiana indicò Laura Bianchini e Angela Maria Guidi Cingolani; il Partito Socialista Clementina Caligaris, Jole Lombardi e Claudia Maffioli; il Partito Liberale Virginia Minoletti Quarello; il Partito Comunista Gisella Della Porta Floreanini, Ofelia Garoia, Teresa Noce Longo, Rina Picolato e Elettra Pollastrini; il Partito d’Azione Bastianina Musu Martini e nel novembre 1945 Ada Marchesini Prospero e su proposta della Confederazione Generale italiana del Lavoro Adele Bei.
Le professioni erano composite: insegnanti, professoresse, operaie, un’ ispettrice del lavoro, una giornalista ed una sarta. La prima donna a parlare alla Consulta sarà Angela Cingolani, che il 1 ottobre 1945 interverrà nell’ Aula di Montecitorio con un discorso di politica generale, senza alcun riferimento alle rivendicazioni femminili. Le donne si sentivano pienamente coinvolte nella ricostruzione del paese. Mesi dopo la Consulta sarà interessata dal primo vero scontro tra opposti fronti politici e riguarderà la obbligatorietà del voto. Quest’ultima era considerata da un fronte quello della sinistra una misura lesiva della libertà personale,dall’altra parte, necessaria perche si temeva , che le donne fossero meno inclini ad esercitare i loro diritti perché non abituate e perché succubi degli uomini.
Il 23 dicembre la Consulta approva il voto obbligatorio, il provvedimento si deve ad Attilio Piccioni della DC, con l’opposizione dei comunisti, socialisti e azionisti, a favore sono i democristiani,i liberali e gli indipendenti. L’Unità attaccò il provvedimento come misura antidemocratica, ma la realtà era che i comunisti avevano timore del voto femminile considerato troppo vicino alla Chiesa. Le donne invece votarono e votarono in massa, non certo per le sanzioni ma perché compresero il significato vero dell’essere cittadine. Scriverà Sibilla Aleramo sulle pagine dell’ “Unità” e di “Noi donne” che si dovevano toccare gli abissi dell’orrore e della tragedia perché gli uomini si convincessero di chiedere l’aiuto delle donne nella società e nella politica e che da quel momento anche le donne non potranno più considerarsi innocenti in caso di un conflitto.
Nel 1946 SI VOTA, a marzo si terranno le amministrative ed in giugno il referendum e le politiche. Le amministrative si svolsero nelle domeniche 10,17,24,31 marzo e 7 aprile investendo 6 mila comuni. Furono elette 2 mila consigliere comunali. La Democrazia Cristiana aveva presentato 264 candidate, ne furono elette 223, tra queste 3 sindaci, 4 vicesindaci e 18 assessori. Segno distintivo di tutta la campagna elettorale e del giorno delle votazioni, fu l’immagine dei bambini in braccio alle donne. Su “ Il Popolo” del 4 giugno del 1946 si legge “ le mogli e le madri si erano messe in fila dalla mattina presto, per essere libere poi all’ora di pranzo, mentre le ragazze arriveranno più tardi con l’abito della festa e le scarpette nuove.
Le madri di famiglia, già use alle lunghe ed estenuanti file per procacciare il pasto quotidiano in questi ultimi anni, l’ultima fila l’hanno fatta domenica e l’hanno considerata come un premio e un riconoscimento ai loro sacrifici. Sono state le prime quando ancora non era giorno chiaro ad accorrere alla porta delle sezioni elettorali; hanno atteso pazienti per ore e ore, fino a quando il sole è diventato cocente, calme e silenziose, preoccupate soltanto di perdere l’ora del gas per il pranzo, ma comprese del loro dovere di cittadine complete e fiere del loro diritto. Brave le nostre donne, brave le nostre madri, molte con un bimbo per mano, molte altre con una creaturina fra le braccia. Ma dovevano ed ancora di più volevano votare.
I risultati, però, saranno diversi dalle amministrative, su 226 candidate riusciranno ad entrare nella Costituente composta da 556 deputati solo 21 delle quali 9 appartenevano alla Democrazia Cristiana, 9 al Partito Comunista, 2 al Partito socialista ed 1 al Partito dell’Uomo Qualunque. Rappresentavano l’Italia intera, Nadia Gallico nata a Tunisi rappresenterà la Sardegna regione del marito Velio Spano. Per la Puglia Vittoria Titomanlio nata a Barletta, eletta nella XXIII collegio, nella liste della DC. Sono in maggiorana, 14 su 21, sposate, laureate ed hanno figli, ma tutte con esperienza di problemi sociali avendo operato chi nel movimento femminile, chi nella resistenza o nella lotta clandestina. Ne ricordiamo i nomi: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli Maria Federici, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela M. Guidi Cingolani, Leonilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Fiorini,Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, M. Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio. Alcune di loro hanno avuto una prestigiosa carriera politica, altre anche se in maniera più dimessa sono state protagoniste per molti anni della vita del paese, altre ancora torneranno alle loro occupazioni, ma tutte insieme hanno segnato l’ingresso delle donne nelle più alte cariche delle istituzioni.