“Ci manca un po’ di “libertà” quella libertà che si aggrappa ai ricordi”.
Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Sai com’è, non sarei uscito di casa per tutto l’oro del mondo, ma il fatto di non poterlo fare, risvegliava in me tutti i desideri, tutte le voglie di farlo.
Uscire, andare in giro senza meta e motivo. Uscire, chiudere la porta di casa dietro di me.
Che strano, avevamo tutti voglia di uscire ogni sera, ma prima non succedeva quasi mai.
Ci manca un po’ di “libertà”, quella libertà che si aggrappa ai ricordi di un mondo che non sarà più uguale, al mondo di appena ieri.
Ti assalgono “nuove malinconie” che non avevi mai pensato di poter provare.
La malinconia per qualcosa che non puoi fare, per un lavoro lasciato a metà, la malinconia per una primavera mancata che nessuno ti potrà mai restituire.
Diventati all’improvviso “malinconici” quella cosa che ti prende quando non hai nulla da fare, quando non sai cosa fare, quando ti annoi, quando ti spegni.
Ti spegni perché vuoi uscire e non puoi e il fatto è che hai voglia di uscire proprio perché non puoi.
Ti dicono di non fare una cosa e stranamente ti viene voglia di farla.
Mannaggia, ti diventa quasi essenziale.
Vedi tutto nero, vedi nero l’oggi, vedi nero il domani, vedi il Paese inginocchiato, non sai se riuscirà a ripartire ed il pensiero, e ancora più la preoccupazione, ti dà tanta, tanta malinconia.
Che ne sarà di quel colloquio, che ne sarà di quel contratto a termine che sta per scadere, che ne sarà di noi.
Resti in bilico tra il voler sapere e il voler non sapere, mentre davanti a te scorrono le triste immagini dei camion dell’esercito in fila che portano via le bare di chi non ce l’ha fatta.
Continui a guardare la TV e basta una canzone o un vecchio film a farti andare indietro nel tempo e negli anni, vorresti uscire per non pensarci.
Non puoi.
Devi rassegnarti, concederti a nuove malinconie, a nuove tristezze che prima allontanavi uscendo, andando al centro, entrando in un “caffè”, guardando
la bellezza di una Chiesa mai notata o perdendoti davanti a una vetrina.
Non si può e poi è tutto chiuso.
Intanto usiamo il tempo per riposizionarci, per riflettere, per ricordare e nel ricordare ci accorgiamo di quanto tempo è passato e della stupidità di fare
fatica a sopportare un tempo incredibilmente breve in confronto.
Abbiamo all’improvviso imparato la bellezza dei minuti, abbiamo all’improvviso scoperto la bellezza dei secondi.
Passi il tempo tra scarabocchi e appunti, descrivi malinconie e stati d’animo, scrivi frasi e poesie, poi lanci quei fogli accartocciati in un cesto di mele al
centro del tavolo.
Sbagli, quella palla di carta rimbalza e ritorna e tu la riapri, stiri i fogli alla meglio e poi continui a scrivere in ogni spazio, poi metti un punto, stiri meglio quei fogli e li conservi.
Forse li leggeranno, chissà. Forse si leggerà la stupida sofferenza per quei “quattro giorni” chiusi in casa.
Qualcuno scoppierà a ridere.
“Eh bravi, tutto facile per voi. Però ditemi in quale posto o in quanti posti andrete stasera.
Poi provate a immaginare che per un “periodo” non potete più farlo”.
Ma ora restiamo un attimo fermi, ad ascoltare il nostro silenzio, e in quel silenzio cerchiamo la dolcezza di questa “nuova malinconia”.
Forse ci mancherà, o forse no. Forse ci salverà.