Rubriche/di Piero D’Errico
Mi chiamano “TOM”, ho vent’anni da otto mesi e oggi torno dalla guerra.
Una guerra difficile e inutile.
Torno a casa dopo quasi due anni, la guerra è finita e torno che non ho né vinto né perso.
Sono stanco, ho ancora la divisa e lo zaino in spalla con poche cose.
Poche cose da ricordare, tante cose da raccontare.
Ho la barba lunga, puzzo di sudore, puzzo di dolore, puzzo di sangue.
Abbiamo attaccato e ci siamo difesi, abbiamo sparato, abbiamo ferito, abbiamo ucciso.
Salgo sul treno che mi porterà a casa, la guerra è finita, si contano i morti, si contano i feriti, i dispersi.
La stazione è tutta un fermento, finalmente si torna.
Incontro gruppi di soldati anche loro in divisa, li saluto, qualcuno è delle mie parti, ma mi va di star solo, in silenzio, di stare in pace.
C’è in giro un’aria fresca e leggera e il giusto vento per far sventolare le tante bandiere ai balconi.
Mai più ordini da eseguire, mai più ordini di attaccare, se Dio vuole domani sarò a casa , sarò al sicuro.
Ho solo voglia di dimenticare, di dimenticare in fretta, di ricominciare, ma il mio pensiero è per tutti quelli che a casa non torneranno.
Forse riprenderò a studiare, o forse mi cercherò un lavoro, chissà?
Siamo in due in quella carrozza, di fronte a me una vecchietta con solo un cesto pieno di rose appena raccolte.
E’ vestita di nero, un fazzoletto legato in testa e molti meno anni di quanti ne dimostra.
Sono partito da mezz’ora ed ho appena chiuso gli occhi.
Mi sveglio di soprassalto, sento come sparare.
E’ il rumore dei fuochi di un paese in festa. Nel cielo vedo aprirsi un fungo di luci e di colori.
Richiudo gli occhi e quando li riapro quella vecchietta non c’è più.
Trovo poggiato sul mio zaino militare un foglietto: Ben tornato bel caporale. Io scendo qui. Vado a salutare mio figlio nel cimitero dietro la stazione.
Lui non è più tornato. Un abbraccio.
Le lacrime di un pianto che sembrava non finire mai, scolorirono ogni parola scritta su quel foglietto e il rumore degli spari che avevo ancora nelle orecchie, fu sepolto dai canti popolari delle contadine che lavoravano la terra lungo i binari della ferrovia.
Ero quasi a casa ed era quasi sera.