Il Sedile

Letture sotto l’ombrellone: “Eravamo in tanti ma una soltanto aveva gli occhi blu”.

Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

A piedi dalla periferia dove abitavamo in piazza e da lì ad aspettare il pullman per il mare che passava alle otto.
Pieni di borse e sacchetti in cui c’era di tutto, dal mangiare al bere, dagli asciugamano alla crostata.

Non mancò quasi mai, né fu mai considerato ingombro, quella camera d’aria della ruota di un camion che portavamo già gonfiata e che serviva a tenerci a galla, ad appoggiarci tutt’intorno.

Insomma era il nostro salvagente, la nostra ciambella.

Eravamo un po’ prima delle curve che ci portavano dritti al mare e si levava dalle prime file un grido, quasi un urlo: “ U MARE, U MARE” e noi tutti in piedi, affacciati a guardare il mare.
Eravamo quasi arrivati.

Prendevamo un camerino montato sul mare, ed era la mia gioia infinita.
In mezzo come una botola che si apriva e attraverso una scaletta si scendeva direttamente in acqua. Ricordo un mare limpido, calmo e la nostra gioia per quella giornata che sarebbe potuta restare anche la sola al mare per quella stagione.

Tornavamo con il pullman la sera, una folla alla fermata mi faceva tremare: non saremmo entrati tutti nel pullman per tornare a casa. Forse saremmo rimasti là.
E invece stretti stretti, e senza mai lasciare la mano di mia madre, arrivavamo in piazza e da lì sempre a piedi alla solita periferia dove abitavamo.

Strada facendo ripercorrevamo la giornata, la bella giornata e poi una volta arrivati la raccontavamo ai vicini di casa e agli amici, in preda all’euforia come avessimo fatto chissà che.
Avevamo visto il mare, eravamo stati al mare.

Poi mettevamo a posto, salvagente, secchielli e palette aspettando di riprenderli la prossima volta che poteva essere anche l’anno successivo.
Poi non abbiamo portato più né salvagente, né secchiello, né palette.

Poi al mare siamo andati più spesso e a mano a mano che passavano gli anni, al mare si andava sempre qualche volta in più e intanto c’era in giro anche qualche macchina in più che circolava per le strade.
Stanchi morti, era appena sera e già eravamo tutti a letto a sognare ancora il mare, a sognare la prossima volta al mare.

La verità è che c’era molto poco e le piccole cose ci sembravano grandi, stavamo crescendo, avevamo mille sogni da accarezzare.
Alcuni a pensarci bene li abbiamo pure raggiunti, altri no restano ancora sogni.

Forse ci siamo svegliati troppo presto e tanti sogni son rimasti appesi.
Forse avremo un giorno la possibilità di riprenderli o forse no, forse mai più.
Eravamo felici, ci bastava guardare “ u mare” ci bastava gridare “u mare”.
Eravamo attraversati da una naturale felicità per ogni piccola cosa, quelle piccole cose che ci toglievano il respiro.

Un “ghiacciolo arcobaleno” ci cambiava la vita, se non lo consumavi in fretta, con il caldo cominciava a sciogliersi e alla fine avevi la bocca color fragola e tracce di gelato sparse su maglietta, pantaloncini, sandali e piedi.
Se chiudo gli occhi sento ancora la voce di mia madre gridare da lontano:
“attento a non sporcarti”. Troppo tardi.

Quella maglietta con il collo a barca, a righe rosse e blu era già a bagno, poi appesa al sole, poi stirata e ancora m’era tornata addosso più nuova che mai.
Sarei stato attento – era la promessa – ma non ci riuscii mai.

Quel “ghiacciolo arcobaleno” fu sempre più veloce di me.

Cominciava a cambiare il tempo, un’ altra stagione si faceva avanti. Quella maglietta a righe comprata al mercato del giovedì, alla fine dell’estate era un po’ scolorita, i suoi colori, rosso e blu, erano diventati più tenui e ogni colore aveva invaso la corsia dell’altro.
Io continuavo a indossarla, erano le ultime volte che potevo farlo, prima che arrivasse il fresco.

Mia madre la lavò, la asciugò, la stirò e la conservò.

Non avrei potuto più indossarla l’estate successiva, sarei diventato più alto, cresciuto o forse non mi sarebbe più piaciuta.
L’anno successivo, del “ghiacciolo arcobaleno” neanche a parlarne, avevo assaggiato per caso un nuovo gelato che quell’anno andava molto di moda. Era il gelato “ELDORADO” che si scioglieva molto più lentamente del ghiacciolo.

Non ho mai capito se lo scelsi perché mi piaceva di più o per non sporcarmi la maglietta nuova, misura più grande, comprata sempre al mercato del giovedì, stessa baracca. Forse lo facevo solo per non sporcarmi.
Guardavo il ghiacciolo ma poi sceglievo l’altro.
Da lì a qualche ora come ogni sera, ci saremmo trovati tutti quanti al solito posto, al solito “muretto”.
Eravamo in tanti, ma una soltanto aveva gli “occhi blu”.

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