Rubriche/di Piero D’Errico

La mia felicità me la ricordo bene.

Era andare al mare, erano tutti i preparativi per andare la domenica al mare.

Era quell’ atmosfera di festa che si respirava sin da lunedì.

Erano tutti i preparativi delle cose da portare.

Era il veder apparire il mare dal finestrino del pullman e tutti che si alzavano  in piedi per vedere meglio, se fosse calmo o se invece fosse mosso.

Il pullman ci lasciava in piazza e da lì noi di corsa con tutti i pacchi e pacchetti, andavamo in spiaggia ad affittare un “camerino”.

Qualche anno dopo, da un paio di macchine parcheggiate al  fresco a poca distanza dal mare. scendevano una quindicina di persone  alla ricerca di un bel posto poco soleggiato in pineta.

Eravamo sempre noi.

Pasta al forno, sedie apribili, tovaglie e tovaglioli. Ombrelloni, contenitori frigo con acqua e vino, per finire il caffè nel thermos e un’anguria rossa come un tramonto.

Eravamo tutti, zie, zii, cugini e nonni ed avevamo tutti una gran fame.

La mia felicità erano gli scatti con quella polaroid sino a finire il rullino che portavo il giorno dopo  alla “scisa de l’orologio”  e da lì cominciava l’attesa per vedere come “eravamo usciti”.

La mia felicità era aggrapparmi a quella camera d’aria di camion che faceva da salvagente e ci teneva a galla anche quando andavamo più in là, “dove non si tocca”.

La mia felicità era quella telefonata a gettoni da una cabina alla mia amica preferita che sapeva già l’ora in cui io avrei telefonato, allontanando in me la paura che fosse qualcun altro a rispondermi.

Era quel ballo del mattone ballato ad una distanza imbarazzante.

La mia felicità era ascoltare i discorsi dei grandi, quei fatti curiosi che vengono fuori quando il vino comincia a fermentare.

E allora c ‘era da ridere, c’era da creparsi dal ridere.

La mia felicità era girare tutte le cabine telefoniche non solo del mio paese, per trovare schede esaurite lasciate là nella cabina.

Mio figlio aveva iniziato la raccolta e allora la sera anche tardi, andavamo in giro per cabine.

Erano tante le mie felicità, era andare all’ALIMENTARI vicino  per comprare le cose che mancavano e farle segnare sulla libretta.

E se l’ ALIMENTARI era chiuso, pazienza, si chiedeva scusa e si suonava a casa.

Era andare a prendere il latte, attraversare quel cortile pieno di galline che si sentivano cantare da casa mia.

La mia felicità era andare all’ ORATORIO la sera e la domenica andare in Chiesa alla messa delle dieci.

La mia felicità era quel muretto, divenuto col tempo il nostro confessionale.

Era rubare la bici a mio padre e andare a giro, erano i dolci della domenica.

La mia felicità erano quelle cinque lire che mi dava la nonna.

Felicità per così poco ?” si chiederà di sicuro qualche ragazzo.

SI, per così poco”

Quel così poco che oggi passa inosservato, non fa alcun effetto,  era per noi felicità.

Era per noi gioia, sorriso, amore.  Era tutto ……..ma……. mannaggia……come faccio a spiegarvelo.