Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Capitò tutto in una giornata lenta e inutile, in una giornata che si trascinava di ora in ora in una noia mortale e si avviava a scomparire senza lasciare traccia, quando un postino, veloce come un folletto uscito da un racconto, mi consegnò una lettera.
E’ un invito.
Una data, un luogo, un’ora, una firma, “QUINTA B del 73”.
Penso dapprima a uno scherzo, poi comincio a crederci davvero.
“Ci vado”. Neanche un dubbio, un pensiero, nessuna indecisione.
Sarà bello trovarsi, è passato tanto tempo, qualcosa come 50 anni.
Al solo pensiero sono già emozionato, non mi succede da tanto, ho le mani sudate, che dirò, che farò.
Ho passato una settimana a pensare, ricordare.
Ricordare tutti i compagni di classe, di banco, di scuola.
Se chiudo gli occhi mi ritornano in mente tutti, 20 compagni di classe seduti al loro banco.
Ricordo come fosse ieri, ogni discorso, ogni attimo di quei bellissimi cinque anni passati insieme per l’intera mattinata di ogni giorno e quasi tutti i pomeriggi di ogni giorno.
Dire qualcosa di quegli anni mi è difficile, dirlo ora impossibile.
Troppo brevi, troppo belli, troppo intensi.
Cosa ci saremmo detti, cosa mi avrebbero detto.
Mi preparerò con cura.
Dedicherò un po’ di tempo in più per me, per non sfigurare, per illudermi di sentirmi dire: non sei cambiato.
So già che non è così, perché si è cambiati e come, nell’aspetto, nel cuore, nella mente.
Arrivo puntuale come mai, quasi in anticipo.
Ho il cuore in gola, c’è già qualcuno, chi sarà ?
Poi in un attimo, uno dopo l’altro sedici compagni di classe, sedici abbracci, sedici come stai, sedici sorrisi, sedici ricordi.
Qualcuno che a vederlo in giro, non l’avresti riconosciuto, qualche altro che l ‘avresti riconosciuto da subito.
Tante voci ricordate, tanti nomi già sentiti.
Un pensiero affettuoso a chi non c’è, a chi è assente per tanti motivi, per tante ragioni, perché non c’è più.
Tutti senza parole, con un nodo in gola e gli occhi lucidi, tutti dolcemente emozionati.
I complimenti si sprecano.
Un brindisi alla 5a B, magica 5a B, magnifica 5a B e la festa comincia.
Tra noi qualche chilo in più e qualche capello in meno. Si ricordano fatti, storie, amicizie, compiti sbagliati, insegnanti troppo seri.
Si ride, si piange, si scherza, si ricorda.
Si ricordano cinque anni di scuola e si raccontano i successivi 50 anni di vita.
E ogni tanto una lacrima, un singhiozzo. Avevamo una vita davanti, tante ambizioni, tanti desideri, volevamo cambiare il mondo. Qualcuno ha fatto fortuna, qualcuno ha avuto sfortuna.
Il più bello, la più bella, il più ricco, il più bravo, il più asino, il più chiacchierone, il più taciturno, chi piangeva per nulla, chi si emozionava per nulla, il genio che suggeriva a tutti, il capellone, il più elegante, quello che ci faceva crepare dal ridere, portava la barba tutta bionda, ce l’ha ancora ma ha cambiato colore, è bianca.
C’è il prof, l’ingegnere, il ragioniere, l’imprenditore, l’assicuratore, il musicista, il politico che prima contestava per passione ed ora lo fa per professione.
Mille storie per piangere, mille storie per ridere, mille storie che credevi dimenticate, mille storie mai conosciute.
Storie di un quaderno prestato, di un diario sparito, di un compito sbagliato, un’ assenza ingiustificata, una nota cercata, una telefonata mai arrivata e poi quelle guance rosse d’emozione, quelle guance rosse di paura, quelle guance rosse di stupore, quelle guance rosse di passione.
Ore e ore a parlare di un pacifismo esasperato, di femminismo appena nato, di scioperi camuffati, ideali immaginati, contestazioni esagerate, frasi mai perdonate.
Qualcuno ci invita ad accomodarci, nessuno lo ascolta.
Troppo impegnati a ricordare, a parlare di quel fatto, di quel prof.
Evviva la nostra classe, evviva i nostri anni migliori, la nostra vita migliore, la nostra speranza, la nostra forza, la nostra rabbia.
Ci invita, sempre quello, ad accomodarci, lo fa sottovoce, come per non disturbare quei momenti lunghi 50 anni.
Ormai le coppie si sono rifatte, le amicizie ritrovate.
Ci sediamo.
L’aria è festosa, parte un nuovo brindisi alla “Quinta B” a “Quelli della quinta B”.
Si ricordano compiti non fatti, lezioni mai capite, assemblee deserte, si ricordano cinque anni di sguardi, di tanti impegni, tante promesse di continuare a vedersi, continuare a sentirsi, eppure con molti non ci si vedeva da 50 anni.
Stasera si confessano simpatie mai confessate, sbandate infinite, passioni tramontate.
Poi si canta a squarciagola, si intonano le canzoni degli anni ’70, canzoni di Mina, Battisti, Baglioni, dei Beatles e tanti altri.
Siamo tutti un po stonati, siamo tutti giù di voce, per il vino, l’emozione, la canzone.
Qualcuno si è lasciato andare, qualcuno non è felice, qualcuno è triste anche stasera, qualcuno non ha pensieri per la testa, qualcuno ha perso la testa.
Qualcuno ha già perso il treno, qualcuno ha già perso l’aereo, qualcuno ha dimenticato gli orari di partenza, ha dimenticato le cose da fare e da dire, gli impegni da mantenere.
Questa sera gli alunni della QUINTA B, sono l’unico pensiero, l’unico ricordo, l’unica allegria, l’unica malinconia.
Malinconia per il tempo passato, il tempo perduto, il tempo rubato.
Sarà bello pensare che in un angolo del nostro cuore, ci sarà sempre scritto: QUINTA B del ’73.
Un angolo per potersi rifugiare, potersi nascondere, potersi riposare, nei momenti difficili, nei momenti complicati, nei momenti delicati.
Si è fatto tardissimo, devono chiudere.
E’ volato via il tempo tra tante storie, tra fortune e sfortune mescolate nelle storie. Non ci siamo detti tutto, abbiamo nascosto tante cose per paura di un giudizio o per vergogna.
Avevamo voluto dire tutte le verità di allora tenute nascoste,
non ci siamo riusciti.
Raccontare delle notti perse a sognare, delle notti perse a pensare, di uno sguardo da incrociare facendo finta fosse “per caso”.
Avevamo voluto dire che ancora oggi non siamo riusciti a perdonare quegli appuntamenti mancati, per aspettare qualcuno che non arrivava, per aspettare qualcuno che tardava.
Aspettare per finire, aspettare per ricominciare, aspettare per studiare, per parlare, aspettare per confessare.
Confessare i propri timori, i propri errori, i propri rimpianti, i propri sentimenti.
Ci fermiamo appena fuori dal locale a parlare ancora, raccontare ancora, ricordare ancora.
Poi ad un tratto buio, hanno spento anche le insegne del locale.
E’ tardi, troppo tardi.
Avremmo voluto dirci tante altre cose, confidarci tanti altri segreti.
E’ il momento dei saluti e nessuno ha voglia di andar via.
Sedici abbracci, sedici ciao, sedici lacrime, una sola bugia: alla prossima.
Sappiamo già che non ci sarà.
Restiamo ancora un po’, altri abbracci, altri saluti.
Poi una macchina va via, poi un’altra, poi un’altra ancora.
Poi via tutti quanti.
Resto ultimo come al solito, mi guardo intorno per convincermi che è tutto vero.
Peccato, è finita la serata.
Una serata di allegria, di malinconia, di ricordi.
Uno sguardo alla notte che se ne va, che lascia il posto all’alba.
L’alba di un nuovo giorno, il primo dopo L’ULTIMO GIORNO DI SCUOLA.
E fa niente se in una sera piovosa e fredda d’inverno, di quelle che ci avvolgono in una calda e piacevole nostalgia, capiterà di ripensarci e capiterà ancora di rispondere a qualcuno della classe che ci chiama: “PRESENTE”.
Siamo tutti presenti, presenti nei nostri cuori”.