Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico
Non c’era volta durante i miei pochi studi del “commerciale” che di fronte a qualche anche piccola difficoltà, non abbia pensato o forse anche detto: “queste cose non mi serviranno a un cazzo”.
Però poi malgrado il mio cattivo e volgare “pensamento” continuavo ad impegnarmi.
Volevo diventare importante e sapiente, dare pareri e dispense, partecipare a convegni e conferenze. E allora mi dicevo:
Devo imparare più “lingue” in un mondo globalizzato, non basta la conoscenza dell’inglese.
Devo coltivare relazioni, ricordare ogni ricorrenza ed ogni convenienza e poi dividermi tra un telefono che strilla, il computer che va lento o non c’è collegamento.
Devo inseguire norme e codicilli, cose dette, tradotte e rettificate, poi cambiate e ricambiate.
Coniugare norme comunitarie, nazionali e regionali, algoritmi imperfetti ed errori corretti.
Stare “notti intere ad aspettare” aspettare per capire o aspettare per non capire.
Devo correre, trovare un ristorante taliano abituarmi al fuso orario e poi convincere, firmare, transare.
Dimenticare di telefonare a casa, dimenticare un foglio, un appunto, un evento.
Trovare il figlio cresciuto e sconosciuto.
La conclusione fu un “fortemente vaffanculo”.
Si chiama PIZZERIA ’51, è lì che lavoro, faccio il cameriere.
Porto pizze e bevande, bicchieri e tovaglie.
Mi muovo con disinvoltura e professionalità, spiritoso quanto basta e sempre un po’ meno del cliente, per non sminuirlo o toglierli le attenzioni o rovinarli la serata.
Sono gentile, garbato ed educato, corro dove mi chiamano, dove vedo una mano alzata.
Porto fiumi di birra e poi “margherite e quattro stagioni” panzerotti e tovaglioli.
Chiedo scusa quando sbaglio e se c’è un po’ di ritardo, so riconoscere il cliente permaloso, il cliente spiritoso o anche noioso.
Sì lavoro là, tra piccante e contante, mi trovo bene.
Ho tempo per andare in Chiesa, per curare gli affetti, giovedì calcetto e poi qualche buona lettura, e tanta musica da ascoltare.
Ogni tanto al bar del mio rione con gli amici si fa un tressette, ogni tanto alla Sezione si discute dei problemi del paese, del futuro del paese.
Accompagno o vado a prendere da scuola mio figlio, faccio lunghe passeggiate, qualche viaggetto in estate.
Faccio le mie ore di lavoro, è poi è come girassi il mio cartello dall’altra parte dove ho scritto CHIUSO, lascio il grembiule, prendo le mance e il mio turno è finito.
Lavoro là, venitemi a trovare, si chiama PIZZERIA ’51, ancora non ho capito perchè.
E’ in fondo al viale principale, ultimo angolo a sinistra, sul muro davanti è scritto con vernice azzurra “PIZERIA”, mannaggia a loro, hanno pure sbagliato a scrivere.
Stasera è festa, venitemi a trovare.
Metterò tovaglie bianche che profumano di fresco e fiori di campo colorati su ogni tavolo.
Arrivate sino in fondo al viale, poi seguite il profumo di glicine e basilico, di legna che brucia, cipolla e rosmarino.
Tutt’intorno poca luce, e stasera non c’è neanche la luna.