Rubriche/di Piero D’Errico
Per le combinazioni complicate della vita che prima o poi vi racconterò, mi sono trovato a dovermi spostare anche per brevi tragitti in treno.
Non lo facevo da tanto e neanche avevo più la pur minima idea di come sarebbe stato.
Quando arrivai alla stazione del mio paese, furono tanti i ricordi, era rimasta uguale, lo stesso fascino di più di 50 anni prima, affacciata su uno spazio verde e al centro del paese.
Feci un giro veloce nei locali, non c’era più la biglietteria, i biglietti si potevano fare solo alla macchinetta, ma era curata ed era ben conservata.
Partivo dal binario otto della stazione di Lecce, ed arrivavo al binario uno della stazione di Galatina.
Poi la sera partivo dal binario due della stazione di Galatina ed arrivavo al binario 8 della stazione di Lecce.
Era marzo e il treno viaggiava quasi vuoto……..
Avevamo passato giornate intere in stazione quando non avevamo voglia di entrare a scuola.
Conoscevamo la linea ferroviaria lungo la quale ci muovevamo, come le nostre tasche.
La stazione era il posto sicuro, il posto in cui nessuno ci avrebbe visto, era il posto in cui ci nascondevamo.
Restavamo seduti nella sala d’aspetto per un po’ poi correvamo lungo la linea dei binari.
Una cosa mancava ora, il fischio del capo-stazione che dava il via al treno con la paletta che dava il verde.
I paesi li attraversavamo tutti anche i più piccoli e in ogni stazione c’era sempre chi saliva e chi scendeva.
Arrivò maggio, molti dissero che dipendeva dal cambiamento climatico, arrivò un caldo torrido.
Il treno cominciò ad affollarsi, gente che cominciava a frequentare le più belle località balneari sulla linea del treno che passava dal mio paese.
Il treno cominciò a riempirsi sempre più, turisti che parlavano lingue diverse o avevano accenti diversi e sempre più immigrati che si recavano ogni santo giorno sulle spiagge a tentare di vendere qualcosa, qualche accendino o un anello o una collana del loro paese o andavano a “fare i capelli”, quelle pettinature originarie del loro paese e delle loro tradizioni.
Quasi per tutti gli immigrati il treno era l’ unico modo per spostarsi, l’ unico mezzo di trasporto.
E allora capisci che le difficoltà che incontri, sono la normalità per altri e ti accorgi di quanto sia difficile la vita per alcune persone e quanta fortuna hai dalla tua parte.
E allora ti senti obbligato a perdonarti per avere a volte pensato tutto il brutto che c’è o almeno sei obbligato a capire le difficoltà degli altri e a renderti conto delle tue agiatezze.
Eravamo in tanti, il treno quasi pieno, in un interminabile salire e scendere o trovare nuove coincidenze o nuove partenze.
Non so per quanto tempo ancora dovrò fare questa vita a cui non ero abituato, se dovrò farlo per molto…….aiutoooooo!! se invece potrò smettere, ho vissuto momenti mai dimenticati, respirato l’odore dei campi verdi che il treno attraversava, ascoltato il ritmo del suono delle rotaie, il fischio del treno.
Ho rivissuto la romanticità della stazione del mio pase, che ci ospitava e ci rimproverava.
Insomma, ho vissuto vecchi ricordi come se tutto il tempo passato si fosse all’improvviso fermato.
Mi sono rivisto insieme ai miei compagni di scuola correre sui binari o scrivere il nostro nome sulle pareti bianche della stazione.
Sono quelle cose che non ti aspetti, che pensi di aver chiuso alle tue spalle e che poi per le combinazioni della vita ti si riaprono di nuovo davanti, ma non ti riconoscono più.
E allora urli con tutto il fiato che hai in gola e la nostalgia che hai nel cuore: Dio quanto era bello !!!
E noi non ce ne accorgevamo neanche.