Il Sedile

Letture Sotto l’Ombrellone: “Sere d’Estate”.

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Non me lo feci ripetere e non ci fu bisogno neanche di insistere. Una deviazione a 100 all’ora e due ore dopo ero là. Ma cominciamo dall’inizio.

Ero di ritorno da una conferenza in cui si era parlato di tutto e di più per due giorni ed ero sullo stesso tragitto del luogo in cui era in vacanza con la famiglia quel bimbo di colore, vicino di  casa, che mi  chiama PEO.

Quando seppero che la strada del ritorno, quella che come dice la canzone è sempre la più lunga, passava non lontana dalla costa e dal villaggio all inclusive di chiara fama dove io ero già stato l’anno prima, non ci fu neanche bisogno di finire la frase, sentii solo: raggiungici. Qualche ora dopo Peo era già là.

Fu vera gioia ed io che conoscevo già quel posto, mi trovai subito a mio agio.

Sarei rimasto lì un paio di giorni, poi sarei andato via.

Adoro la vita del villaggio tra mare, piscina, sport, cantate, suonate e dediche.

La sera, cena e poi spettacolo nell’arena, ogni sera un tema diverso.

Quella sera ero lì in prima fila a guardare il piccolino che si divertiva a cantare e ballare sul palco insieme a tanti altri bimbi   in un’ arena strapiena.

Tutti i bambini furono invitati dall’animatore,  a portare sul palco un loro familiare, uno zio, una nonna, un fratello o un conoscente .

Ma io dico c’era sua madre e suo padre proprio di fronte e vicino  altri parenti, perchè venne da me dritto dritto come un treno ??

Andiamo Peo -. Io gli dicevo: porta mami o anche dadi, ma lui niente.

Mi aveva preso la mano e mi voleva trascinare per forza mentre  io puntavo quasi i piedi per non salire su quel palco.

Il pubblico delle grandi occasioni assisteva alla scena e già spazientito, cominciava a intonare un : vai, vai, vai…..e una nonna dall’ultimo gradino della scalinata mi urla: sei timido ??

Le feci segno di no, ma non so se capì, le diedi però la risposta  che meritava: mi alzai di scatto e salii sul palco, tra un interminabile applauso o forse era solo il fruscio delle onde del mare vicino che io, emozionato, scambiai per applausi.

Meno male che era sera e che con tutte le luci colorate del palco,  il mio colore paonazzo si confondeva con il colore dell’abbronzatura.

Fortuna che una cinquantina di anni prima, ero stato giovane anch’io e da giovane di discoteche ne avevo girato in tutto il mondo, dopo pochi minuti e dopo qualche “passo”, il pubblico capì con chi aveva a che fare.

Aveva a che fare con il re della FEBBRE DEL SABATO SERA, il Jhon Travolta dei poveri.

Il pubblico era tutto ai miei piedi ed io non sentivo neanche la voce del piccolino che avendo capito che in me c’era qualcosa   che non andava mi gridava: Peo, Peo andiamo via.

La camicia vintage che avevo, era cambiata di colore , era completamente bagnata ed io continuavo nella mia instancabile quanto perfetta lezione di ballo.

Rimasi a lungo sul palco a rubare la scena agli animatori, rendendoli inutili e impreparati, quando dopo un crack la camicia vintage che avevo si fece in due.

Per me non era successo niente, non era un buon motivo per fermarmi, faceva parte del rischio ed io l’avevo messo in conto.

Dopo un’ora davanti a un pubblico che sicuramente avrebbe preferito restassi in scena, feci un inchino e tornai a mettermi seduto in quell’arena che invocava già il mio nome:

Peo, Peo, Peo.

Certo ci fu pure qualche fischio anzi più d’uno, ma era gente che non capiva, quella gente che trovi un po’ dappertutto e fa quello per mestiere, gente che non capiva l’arte, che non capiva la mia performance.

Non so se il piccolino mi teneva la mano per paura che cadessi o perchè era orgoglioso di me, ricordo che vedendomi sudato, mi ripeteva: Peo bevi, bevi.

Avrei bevuto volentieri ma un rockettaro non beve acqua, beve vino o al massimo birra, ed io arrivato a quel punto di notorietà, non potevo deludere.

Restai per tutta la serata con la camicia strappata come traccia della mia esibizione, sin quando non ricordo chi, mi fece notare che forse in una delle mie tante spaccate, anche i pantaloni si erano “sgarrati” lasciando leggermente apparire le mie Calvin Klein  rigate ultima moda, che mi slanciavano un po’.

Fu una notte magnifica, feci fatica a prendere sonno ma avevo lasciato il segno.

Anche l’indomani quando ero in giro nel villaggio mi accorsi che ero diventato una celebrità e soprattutto le donne mi indicavano, forse come esempio, ai mariti che subito dopo vedevo gialli di invidia.

Quei pochi giorni che restarono alla partenza, furono tutti un successo, firmai anche qualche autografo a qualche mia coetanea infatuata, ma io da vero professionista, pur avendo capito la musica non diedi minimamente peso.

Quando tornai al mio paese tornai ad essere un “qualunque qualunquemente” certo mi sentivo un po’ ringalluzzito, mi sentivo più alla moda, più al passo coi tempi.

Fu qualche sera dopo quando ero insieme ai miei amici ed amiche a formare la “solita comitiva” che rivolto al gruppo che ero solito comandare e che avevo debitamente informato nei dettagli delle mie gesta nel villaggio, feci: Andiamo al burger king ?  e loro: ma sono tutti ragazzini !!

E io: embe ??

Un quarto d’ ora dopo eravamo al Burger king a mangiare  e a bere ed era verso la fine quando io in piedi cominciai a raccontare quel mio attimo di celebrità a quei pochi che avevano perso le puntate precedenti.

Andavamo con due macchine, quelli dell’altra macchina li vidi uno alla volta sparire nel nulla, rimasero solo quelli che andavano con la mia macchina, loro erano obbligati ad ascoltare il racconto, anche se qualcuno sbadigliava e qualche altro aveva proprio gli occhi chiusi . Colpa del vino , pensai, ma non ne ero sicuro e continuai a raccontare.

Erano quasi le undici quando arrivò la solita telefonata: buona notte Peo –

Era finito il mio racconto ed era finita anche  la serata.

E’ proprio vero: Ci sono cose nella vita che fai una volta soltanto ma che poi  racconti per tutto il tempo che ti resta.

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