Il Sedile

Mille e più cose da capire

Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Alla fine penso si fosse stancata pure lei o era forse cambiata o forse i suoi interessi si erano spostati altrove, avevano preso altre direzioni.
Ma cominciamo dall’inizio.

Due banchi più avanti dal mio, non brava quanto me, ma allegra e generosa come pochi in quella classe del commerciale.
Non ricordo com’è che cominciò, so che telefonava, so che telefonava anche per piccole cose, so che telefonava spesse volte ed io a volte scocciato, quasi chiudevo mentre ancora lei parlava.

Mi sentivo un Don Giovanni di periferia ed era forse il suo interesse per me che tale mi faceva sentire.
Quasi con maleducazione, in quattro e quattr’otto chiudevo il discorso e lei ancora un po’ dopo, ancora un po’ più tardi richiamava.
Voleva sapere di compiti, di orari, voleva sapere dove tutta la classe si doveva incontrare per decidere su qualcosa, fare qualcosa, voleva sapere risoluzioni e spiegazioni.

Avevo quasi fatto l’abitudine, quando quelle telefonate non arrivarono quasi più, solo qualcuna, solo ogni tanto e fu proprio allora che ogni volta non vedevo l’ora che arrivasse una sua telefonata.
Cominciai a sentirmi come sminuito, un “insignificante” amico di scuola.
Quelle telefonate mi mancavano, forse non avevo dato l’importanza che avevano e nella mia stupida sicurezza pensavo che sarebbero continuate ad arrivare sempre.
Mi illudevo.

Non pensavo fossero così importanti, me ne resi conto solo quando quelle telefonate non arrivarono più.
A volte, dai per scontate le cose che hai sino a quasi non accorgerti della loro bellezza, non riesci ad apprezzarle sino a quando quelle cose non le hai più.
Cercai le cause, i perché, i come mai quelle che mi sembravano noiose telefonate, mi mancassero così tanto, se mi mancava l’abitudine o mi mancava altro.

La vidi all’uscita della scuola presa per mano con un nostro coetaneo.
Ci fermammo un po’ a parlare, ma lei aveva occhi solo per lui.
Ed io lo invidiai da morire.
La incontrai ancora o forse feci di tutto per incontrarla ancora, qualche giorno dopo.

Era sempre con quel ragazzo e quella volta e tutte le altre volte che la incontrai non feci a meno di pensare a quanto lui fosse stato fortunato.
Quelle telefonate si fecero sempre meno frequenti ed io una ragione me l’ero fatta, oltre ad aver capito la lezione, ad aver capito 1000 e più cose.
Era un martedì di una primavera appena iniziata, più o meno questo periodo, ed ero sui libri sparsi sul tavolo da cucina quando sentii lo squillo del telefono.
Pensai a lei. No, non era lei.

Era un’altra amica non di scuola, di rione, parlammo a lungo, mi aveva chiamato perché voleva organizzare con un gruppo di ragazzi della nostra età, la “ festa della primavera “ nel nostro quartiere.
Colpa di quella bellissima primavera e di quella bellissima festa.
Ci continuammo a sentire per 1000 motivi e anche senza motivo, 1000 e più volte al giorno.

Mostrai sempre “inconfondibili” segnali di piacere, le dissi che aspettavo la chiamata e che stavo quasi per chiamarla.
Chiusi sempre il telefono dopo di lei.
Volevo trovare un motivo che mi facesse svegliare felice, felice come mio padre che già all’alba, sigaretta accesa, fischiettava e canticchiava.
Volevo trovare qualcosa che mi facesse svegliare al mattino con la sua stessa gioia.
L’avevo trovata.

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