Il Sedile

Sanremo e “Nonno Holliwood”.

Rubriche/PensieriParole/di Piero D’Errico

Ci siamo avvitati per giorni a chiederci se la canzone che ha vinto il Festival di Sanremo, lo meritasse davvero, oppure fosse stata occasione per esprimere un “giudizio politico”.

Se la giuria di qualità nel votare avesse votato la canzone o avesse usato la canzone per dare un voto contro la politica di qualcuno o comunque non avesse votato la canzone e basta.

Per giorni, rapper e bulli, approfittando della confusione e prima che il sipario calasse facendoli scomparire, si sono autoproclamati vincitori o dichiarati vittime di un imbroglio, di una ingiustizia.

Siamo così scivolati nel “mondo a pile” quello decritto con insolita intelligenza in una bella, per me la più bella, canzone del festival.
Una canzone piena di dolcezza e di dolore per il “nonno”. Il “nonno” che gli aveva lasciato un mondo in cui faceva fatica a riconoscersi.

Una canzone in cui si inseguono e si confondono, amore e rabbia, nel ricordo struggente del “nonno” e di tanti suoi ricordi e di tanti suoi consigli da portare
sempre “addosso”.
Forse non ce l’abbiamo fatta. Non ce l’abbiamo fatta a lasciare un “mondo diverso” non ci siamo riusciti, forse ci siamo distratti o forse siamo stati costretti.

Centri commerciali al posto di cortili” , troppi, dove trascorrere allegramente i nostri giorni, le nostre domeniche, tra detersivi, pampers e frutta di stagione.
Immersi in una infinità di offerte, in giro tra profumi “mischiati” e sguardi un po’ annoiati.

Tra le urla di rabbia di quel giovane cantautore di Livorno, sento anche la voce di mio figlio, la conosco, sento che mi dice le stesse cose.
Quel rimprovero rivolto al “nonno” sento che mi appartiene, che mi comprende, che è rivolto anche a me.

Sbattuti di qua e di là in cerca di un qualcosa che non c’è, che non troviamo, che non vediamo.
Nella inutile ricerca di qualche “stagione coerente”, imprigionati nei “social”.
Impegnati tra novità e stupidità, nella costruzione del “niente” nella costruzione del “nulla”.

Sempre di fretta, sempre di corsa e anche se non abbiamo niente da fare ci sembra non aver tempo, di non avere mai tempo. Neanche per pisciare.

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