Rubriche/Ricerche&Studi
Sono 662 le aziende che in provincia di Lecce sono state sottoposte a procedure concorsuali. L’Osservatorio economico, diretto da Davide Stasi, ha censito le imprese ormai in crisi, che sono andate incontro a fallimento o si trovano in stato di concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata oppure amministrazione straordinaria speciale, a partire dall’anno in cui entrarono in vigore le novità processuali contenute nella legge 134/2012, che modificò il Regio decreto 267/1942.
«I dati – spiega Davide Stasi, direttore dell’Osservatorio economico – confermano le grosse difficoltà in cui versano molte aziende salentine. Lo studio prende in esame le aperture di “procedure concorsuali”, disposte dal 2012 ad oggi, nei confronti di quelle aziende con sede in provincia di Lecce, che risultino sottoposte a fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria speciale. Le imprese in questione non erano cancellate dal Registro delle Imprese al momento dell’evento».
In particolare, i settori economici più colpiti, sono il commercio, con ben 206 aziende sottoposte a procedure concorsuali, pari al 31,1 per cento del totale. Seguono il manifatturiero, con 140 casi, corrispondenti al 21,3 per cento. Il comparto delle costruzioni, con 134 imprese, rappresenta il 20,2 per cento; le imprese cosiddette non classificate sono state 38 (ovvero il 5,7 per cento); l’agricoltura registra 25 aziende, ovvero il 3,8 per cento; le agenzie di viaggio o di noleggio registrano 20 episodi, pari al 3 per cento; nell’ambito delle attività professionali, scientifiche e tecniche si contano 19 casi, cioè il 2,9 per cento; per le attività di alloggio e ristorazione le aziende sottoposte a procedure concorsuali sono 15, corrispondenti al 2,3 per cento. Stesso numero di aziende nella sanità (15). Valori più modesti interessano gli altri settori: 10 le agenzie immobiliari; 8 le imprese che si occupavano di trattamento rifiuti; 8 le attività di trasporto; 8 le agenzie di comunicazione; 6 le attività artistiche e sportive; 4 le altre attività di servizi; 3 le società di fornitura gas e luce; 2 le società di finanza; una che eroga servizi di istruzione.
«Per l’apertura di una procedura concorsuale – spiega Stasi – è necessario che l’azienda si trovi in uno stato di insolvenza e in possesso dei requisiti dimensionali di cui all’articolo 1, comma 2, della Legge fallimentare italiana. Una volta accertata l’esistenza dei due requisiti, tali procedure disciplinano il rapporto tra l’azienda insolvente e i suoi creditori, con la presenza di un’autorità pubblica ed altri soggetti che variano a seconda della procedura stessa e valutano la possibilità di prosecuzione dell’attività d’impresa o la liquidazione del patrimonio. Spesso accade che l’impresa si trovi in una situazione di difficoltà tale per cui il venir meno dell’equilibrio fra i costi e i ricavi, necessario alla prosecuzione dell’attività, provoca la mancanza dei mezzi di cui essa ha bisogno per far fronte ai propri impegni economici. Ciò provoca, conseguentemente, effetti non solo sulla sua propria attività, ma anche su tutti i soggetti che abbiano instaurato rapporti di collaborazione: in altri termini, la difficoltà della singola impresa determina ripercussioni negativi anche su tutti coloro che abbiano interagito con l’impresa in crisi.
Per
limitare il più possibile gli effetti negativi all’esterno
dell’impresa e al fine di tutelare gli interessi degli altri
soggetti implicati nella crisi, vengono adottate delle misure, grazie
alle quali possa essere gestita la crisi dell’impresa. Le procedure
concorsuali –
aggiunge Stasi – sono
diverse tra loro per requisiti di ammissione, finalità, procedura ed
effetti, ma presentano tre elementi in comune. In primo luogo, sono
collegate ad uno stato di dissesto economico dell’imprenditore
commerciale, nella forma di stato di crisi oppure di insolvenza.
Inoltre, si connotano come procedure a carattere collettivo, perché
coinvolgono tutti i creditori dell’imprenditore ai quali si
garantisce, in linea di principio, una parità di trattamento. In
terzo luogo, tutte le procedure concorsuali hanno carattere generale,
cioè coinvolgono l’intero patrimonio dell’imprenditore. In
sostanza –
rileva Stasi –
tali procedure mirano a dare una soluzione allo stato di crisi di
un’impresa commerciale attraverso la regolamentazione dei rapporti
con i creditori. La principale disciplina delle procedure concorsuali
è contenuta nel Regio decreto 267 del 16 marzo 1942, cosiddetta
legge fallimentare, la quale ha subito, negli ultimi anni, due
importanti modifiche (intervenute nel 2005 e nel 2007) che hanno
portato ad una Riforma organica del diritto ad esse relativo. Va
ricordato, poi, che a decorrere dal 2001, sono entrate in vigore
peculiari regole di natura comunitaria che devono essere applicate
quando l’impresa in crisi abbia carattere transnazionale, quando
cioè compia la propria attività non solo nel territorio dello Stato
italiano ma anche in altri Paesi appartenenti all’Unione europea.
Con le novità processuali, contenute nella legge 134 del 7 agosto
2012, pubblicata in Gazzetta ufficiale numero 187 dell’11 agosto
2012 ed entrata in vigore il giorno dopo, nelle intenzioni del
legislatore, si volle compiere un ulteriore passo in avanti verso la
“privatizzazione” del diritto della crisi d’impresa, con
l’obiettivo di semplificare ed accelerare il sistema delle
procedure concorsuali ed avrebbe dovuto aiutare in modo «ordinato» e
«concordato» il soggetto sovrindebitato a uscire dalla crisi. La
legge avrebbe dovuto portare a una situazione di «esdebitazione»,
ossia di cancellazione dei debiti, in modo da far partire la persona
sovrindebitata. Tuttavia, non mancano gli aspetti critici, sia dal
punto di vista della scarsa tutela del ceto creditorio, sia sotto il
profilo della dubbia efficacia pratica della mini-riforma del 2012.
Siamo alla vigilia di un nuovo riassetto normativo – preannuncia
Stasi – Dall’agosto prossimo, infatti, entreranno in vigore le
regole del Codice della crisi (in pratica la nuova legge
fallimentare), con la speranza che le procedure diventino più
efficaci. Ad oggi, infatti, i risultati non sono stati sempre
rassicuranti. Tutt’altro e, a dire il vero, prescindono anche dal
colore politico dei Governi di turno. In alcuni casi si è arrivati
alla re-industrializzazione sotto la stessa proprietà (con
assorbimento totale o comunque maggioritario dei lavoratori) oppure
sono subentrati nuovi proprietari. In alcune situazioni si è passati
da una procedura di amministrazione straordinaria, in altre
attraverso operazioni di fusione. Il ricorso agli ammortizzatori
sociali risulta decisivo per una soluzione temporanea in attesa dei
nuovo piani industriali. Nonostante tali procedure –
chiosa Stasi – sono
stati tanti i fallimenti e le chiusure dell’attività, con perdita
totale dei posti di lavoro o con assorbimento solo parziale.
Situazioni spesso legate a una delocalizzazione. Il calo delle
commesse collegato alla crisi, la competizione di nuovi concorrenti
mondiali e gli alti livelli dei costi dell’energia tra le cause
principali. Commercio, elettrodomestici, call center, Ict e
telefonia, edilizia, i settori più interessati».