Cronaca/Coldiretti Puglia
Sono quasi 500 i pescherecci pugliesi che saranno “affondati” dalle nuove linee europee che prevedono la scomparsa della pesca a strascico, il settore più produttivo della marineria, con un impatto devastante sull’economia, sull’occupazione e sui consumi.
E’ la denuncia di Coldiretti Impresapesca Puglia, a seguito dello stop alla pesca del gambero viola disposto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di non incorrere nelle sanzioni dell’Unione Europea, con la chiusura immediata dell’attività di pesca per le catture che avrebbero già assorbito lo stock ittico consentito per il 2023.
La misura comunitaria più dirompente – sottolinea Coldiretti Impresapesca Puglia – è il divieto del sistema di pesca a strascico che rappresenta in termini di produzione ben il 65% del pescato nazionale, operando di media non più di 130 giorni all’anno, secondo l’analisi di Coldiretti Impresapesca. Ma le nuove linee prevedono anche la restrizione delle aree di pesca con tagli fino al 30% di quelle attuali, denuncia Coldiretti Impresapesca, con scadenze ravvicinate nel 2024, 2027 per concludersi nel 2030.
Il settore della pesca e dell’acquacoltura in Puglia – dice Coldiretti Puglia – vale 225milioni di euro, secondo i dati CREA, con una flotta operante lungo le coste pugliesi costituita da 1.455 battelli che rappresenta il 12,3% del totale nazionale, il 10,5% del tonnellaggio e il 12% della potenza motore, con le aree vocate di Manfredonia, Molfetta, sud Barese, Salento, dove il pescato più importante è costituito da gamberi, scampi, merluzzi, oltre agli allevamenti in mare aperto di spigole, ombrine e orate.
L’eliminazione della pesca a strascico senza che siano state peraltro previste risorse adeguate per la riconversione significa – calcola Coldiretti Impresapesca Puglia – la rinuncia ai 2/3 del pescato regionale, aggravando ulteriormente una situazione che nel 2022 ha visto arrivare in supermercati e ristoranti del nostro Paese oltre 1 miliardo di chili di prodotto straniero tra fresco e trasformato, pronto spesso per essere servito come tricolore nei ristoranti.
Scelte che sono il frutto di un estremismo ambientalista lontano dalla logica e che non tiene conto peraltro di quanto già promosso dalla stessa Unione Europea sul fronte della tutela degli stock, con le norme di contenimento dello sforzo di pesca nel Mediterraneo, in particolare per Adriatico e West-Med, avviate nel 2019 e seguite dai pescherecci italiani, che, a detta della stessa Commissione, cominciano a dare risultati positivi sulla conservazione delle risorse ittiche. Un risultato raggiunto grazie ai sacrifici delle marinerie italiane – ricorda Coldiretti Impresapesca- che vengono ora di fatto cancellati, mentre le stesse regole non vengono seguite dai pescherecci dei Paesi extraUe che si affacciano sul Mediterraneo, liberi di fatto di pescare anche più di prima approfittando delle restrizioni a cui sono obbligate quelle nazionali.
Quasi 8 pesci su 10 che arrivano sulle tavole sono stranieri spesso senza che i consumatori lo sappiano, soprattutto a causa della mancanza dell’obbligo dell’indicazione di origine – denuncia Coldiretti Puglia – sui piatti consumati al ristorante che consente di spacciare per nostrani prodotti provenienti dall’estero che hanno meno garanzie rispetto a quello Made in Italy.
Gli effetti combinati dei cambiamenti climatici, delle importazioni selvagge di prodotto straniero e di una burocrazia sempre più asfissiante impattano sulla sopravvivenza delle 1.500 imbarcazioni pugliesi – ricorda Coldiretti Puglia – ma anche sulla salute dei cittadini poiché con la riduzione delle attività di pesca viene meno anche la possibilità di portare in tavola pesce Made in Italy, favorendo le importazioni dall’estero di prodotti ittici che non hanno le stesse garanzie di sicurezza di quelle tricolori.
Nei mari italiani si pescano ogni anno circa 180 milioni di chili di pesce cui vanno aggiunti gli oltre 140 milioni di kg prodotti in acquacoltura – spiega Coldiretti Impresapesca – mentre le importazioni dall’estero hanno ormai superato il miliardo di chili. Una situazione che lascia spazio agli inganni dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola. Una frode in agguato sui banchi di vendita in Italia e soprattutto nella ristorazione dove non è obbligatorio indicare la provenienza. Tra i trucchi nel piatto più diffusi in Italia ci sono anche – continua la Coldiretti Impresapesca – il polpo del Vietnam spacciato per nostrano, lo squalo smeriglio venduto come pesce spada, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, il pagro invece del dentice rosa o le vongole turche e i gamberetti targati Cina, Argentina o Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa sono vietatissime in quanto pericolosi per la salute.
Alle importazioni selvagge e alle scelte Ue si sommano anche gli effetti combinati del surriscaldamento, dei cambiamenti climatici e di una burocrazia comunitaria sempre più asfissiante, con il risultato – spiega Coldiretti Impresapesca – che la flotta peschereccia pugliese ha perso oltre 1/3 delle imprese e 18.000 posti di lavoro, con un contestuale aumento delle importazioni dal 27% al 33%. Di assoluto rilievo i numeri del settore in Puglia, segnala Coldiretti, il cui valore economico è pari all’1% del PIL pugliese e arriva fino al 3,5% se si considera l’intero indotto, conta 1500 imbarcazioni, 5000 addetti, oltre agli impianti di acquacoltura e mitilicoltura. Le aree vocate sono prioritariamente Manfredonia, Molfetta, sud Barese, Salento, dove il pescato più importante è costituito da gamberi, scampi, merluzzi.
Una crisi quella del settore ittico, che si trascina da 30 anni – rileva Coldiretti Puglia – in un mercato, quello del consumo del pesce, che aumenta, ma sempre più in mano alle importazioni. La produzione ittica derivante dall’attività della pesca è da anni in calo e quella dell’acquacoltura resta stabile, non riuscendo a compensare i vuoti di mercato creati dell’attività tradizionale di cattura. Una rinascita che passa per il mercato e sulla quale Coldiretti sta cercando di impegnarsi a fondo, facendo partire iniziative nei Mercati di Campagna Amica che hanno come obiettivo la vendita diretta, la semplificazione e la tracciabilità.
Un business non indifferente se si considera che a livello globale – conclude Coldiretti – ogni persona consuma oltre 20 chili di pesce vero all’anno, mentre gli italiani ne mangiano circa 28 chili pro capite, sopra la media europea che è di 25 kg.
Il consiglio di Coldiretti Impresapesca è di verificare sul bancone l’etichetta, che per legge deve prevedere l’area di pesca (Gsa). Le provenienze da preferire sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta). Per quanto riguarda il pesce congelato c’è l’obbligo di indicare la data di congelamento e nel caso di prodotti ittici congelati prima della vendita e successivamente venduti decongelati, la denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione “decongelato”.E intanto bussa già alla porta il pesce in provetta dove l’ultima deriva arriva dalla Germania con i primi bastoncini di sostanza ittica coltivati in vitro senza aver mai neppure visto il mare, mentre negli Usa con un’abile strategia di marketing si stanno buttando sul sushi in provetta. La società tedesca Bluu Seafood impegnata nel progetto – spiega Coldiretti – promette di ricreare in laboratorio la carne di salmone atlantico, trota iridea e carpa partendo da cellule coltivate e arricchite di proteine vegetali.